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Re: Достоевский Ф. М. - Игрок ( перевод на итальянский язык )

"Ti vergogni a uscire con me? E allora rimani in casa,  nessuno ti
    chiede  niente.  Guarda  un po' che generale!  Ma sono anch'io una
    generalessa. E perche dovrei trascinarmi dietro un simile codazzo?
    Andro a visitare tutto con Aleksej Ivanovitch..."
    Ma De-Grieux insiste decisamente perche tutti la accompagnassero e
    uso le frasi piu cortesi a proposito del piacere di  accompagnarla
    eccetera eccetera. Tutti si mossero.
    "Elle  est  tombee  en  enfance,"  ripete  De-Grieux  al generale,
    "seule,  elle fera  des  betises  (1)".  Di  piu  non  sentii,  ma
    evidentemente  egli  aveva  dei  progetti  e,   forse,  gli  erano
    addirittura tornate delle speranze.
    Il Casino era lontano un  mezzo  miglio  dall'albergo.  La  nostra
    strada passava per un viale di castagni,  fino al piazzale, girato
    il quale  ci  si  trovava  davanti  all'ingresso  del  Casino.  Il
    generale si era un po' calmato,  poiche il nostro corteo, anche se
    discretamente eccentrico, era tuttavia decoroso e corretto.  E poi
    non  c'era  niente  di sorprendente nel fatto che alle terme fosse
    venuta una persona malata e debole,  priva dell'uso  delle  gambe.
    Ma,  evidentemente,  egli  temeva  il  Casino:  perche una persona
    malata,  dalle gambe paralizzate e per  di  piu  vecchia,  sarebbe
    andata alla roulette? Polina e mademoiselle Blanche camminavano ai
    due   lati   della   poltrona   che  procedeva  davanti  a  tutti.
    Mademoiselle Blanche rideva,  era allegra ma con discrezione,  e a
    volte,  molto  cortesemente,  scherzava  con  la  nonna  tanto che
    questa,  alla fine,  la  elogio.  Polina,  dall'altro  lato  della
    poltrona,   era   costretta   ogni   momento   a  rispondere  alle
    innumerevoli domande della nonna, domande di questo genere: "Chi e
    quello li che passa? E quella la in carrozza?  E' grande la citta?
    E'  grande il giardino?  Che alberi sono questi?  E che monti sono
    quelli?  Ci sono delle aquile  qui?  Che  cos'e  quel  tetto  cosi
    buffo?" Mister Astley,  che camminava vicino a me, mi sussurro che
    da quella mattina si  aspettava  molte  cose.  Potapytch  e  Marfa
    seguivano  da  vicino la poltrona: Potapytch in marsina e cravatta
    bianca ma con il berretto, e Marfa, zitella sulla quarantina dalle
    guance rosse,  ma che cominciava ormai a farsi grigia,  in cuffia,
    abito  di percalle e con un paio di scricchiolanti scarpe di pelle
    di capretto.  Molto spesso la nonna si girava e scambiava con loro
    qualche  parola.  De-Grieux  e  il  generale  erano rimasti un po'
    indietro e discutevano con grande foga di  non  so  che  cosa.  Il
    generale  era  assai abbattuto;  De-Grieux parlava in tono deciso.
    Magari cercava di fargli coraggio o gli dava qualche consiglio. Ma
    la nonna aveva ormai pronunciato la frase fatale: "Denaro  non  te
    ne  daro".  Forse a De-Grieux questa notizia sembrava incredibile,
    ma il generale conosceva bene la  vecchia.  Io  osservai  che  De-
    Grieux   e   mademoiselle   Blanche   continuavano   a  scambiarsi
    strizzatine d'occhio. Il principe e il viaggiatore tedesco li vidi
    proprio in fondo al viale; erano rimasti indietro e se ne andavano
    da un'altra parte.
    Al Casino entrammo trionfalmente.  Il guardaportone e i  camerieri
    ci  manifestarono la stessa reverenza che gia aveva manifestato il
    personale dell'albergo.  Ci guardavano,  pero,  con curiosita.  La
    nonna,  per  prima  cosa,  ordino di portarla in giro per tutte le
    sale;  lodo alcune cose,  di fronte ad altre rimase  perfettamente
    indifferente;  di  tutto  chiedeva  informazioni.  Infine entrammo
    nelle sale da giuoco.  Il cameriere,  che stava di guardia  vicino
    alla porta chiusa, sbalordito, la spalanco immediatamente.
    La comparsa della nonna vicino alla roulette produsse una profonda
    impressione  sul  pubblico.  Al  tavolo da giuoco della roulette e
    all'altra estremita della sala dove si trovava il  tavolo  con  il
    "trente  et  quarante",  si  affollavano  forse  centocinquanta  o
    duecento giocatori,  in varie file.  Quelli che erano  riusciti  a
    farsi  strada  fino al tavolo,  di solito si tenevano ben fermi al
    loro posto e non lo cedevano fino a  quando  non  avevano  perduto
    tutto;  poiche  non e permesso rimanere come semplici spettatori a
    occupare inutilmente un posto di giuoco. Nonostante che intorno al
    tavolo siano anche sistemate delle sedie, pochi tra i giocatori si
    siedono,  specialmente quando c'e molta folla,  perche in piedi si
    sta  piu fitti e di conseguenza si guadagna posto e si possono piu
    agevolmente fare le  puntate.  La  seconda  e  la  terza  fila  si
    pigiavano  dietro  alla  prima,  aspettando e sorvegliando il loro
    turno;  ma nell'impazienza a volte allungavano la  mano  oltre  la
    prima  fila per fare le loro puntate.  Perfino dalla terza fila si
    ingegnavano cosi ad allungare le puntate; per questo non passavano
    dieci e neppure cinque minuti senza che a un'estremita del  tavolo
    non  avvenisse qualche 'storia' per poste controverse.  La polizia
    del Casino,  del resto,  e  abbastanza  indulgente.  La  ressa,  e
    naturale, non si puo evitare; anzi si e contenti dell'affollamento
    di  pubblico  perche e una cosa che conviene;  ma otto "croupiers"
    che siedono attorno al tavolo,  tengono attentamente  d'occhio  le
    poste, fanno i conti e, quando nascono controversie, sono loro che
    le risolvono.  Nei casi estremi chiamano la polizia, e la faccenda
    si conclude in un minuto. Gli agenti si trovano nella sala stessa,
    in abiti borghesi,  confusi tra la gente,  per cui non e possibile
    riconoscerli.  Essi  tengono specialmente d'occhio i ladruncoli di
    professione che alle roulettes si incontrano in gran  numero,  per
    la straordinaria comodita di esercitare il loro mestiere.  Infatti
    in qualsiasi altro posto bisogna rubare dalle tasche o forzare  le
    serrature, cosa che, in caso di insuccesso, finisce sempre in modo
    alquanto spiacevole.  Qui, invece, basta semplicemente avvicinarsi
    alla  roulette,   cominciare  a  giocare  e  poi,   a  un  tratto,
    pubblicamente e in modo palese,  prendere la vincita di un altro e
    mettersela in tasca;  se poi nasce  qualche  lite,  il  lestofante
    insiste a voce alta e decisa che la puntata era la sua. Se la cosa
    e  fatta  con  furbizia  e i testimoni tentennano,  il ladro molto
    spesso riesce ad impadronirsi del denaro sempre che,  si  capisce,
    la  somma  non sia molto notevole.  In caso contrario,  essa viene
    certamente fin da prima notata dai "croupiers" o da qualcuno degli
    altri giocatori.  Ma se la somma non e  molto  cospicua,  il  vero
    proprietario   a  volte  rinuncia  a  proseguire  la  discussione,
    timoroso  di  uno  scandalo  e  si  ritira.  Ma  se  si  riesce  a
    smascherare il ladro, lo si porta subito fuori con grande chiasso.
    La nonna guardava tutte queste cose da lontano,  con straordinaria
    curiosita.  Le era  molto  piaciuto  che  si  mettessero  fuori  i
    ladruncoli.  Il  "trente  et  quarante"  suscito in lei pochissima
    curiosita;  la  interesso  maggiormente  la  roulette  con  quella
    pallina che rotolava.  Espresse, infine, il desiderio di osservare
    il gioco piu da vicino. Non so come fu, ma i lacche e alcuni altri
    personaggi pieni di zelo (in prevalenza polacchi che  hanno  perso
    tutto  e  che  offrono  i  loro servigi ai giocatori fortunati e a
    tutti gli stranieri)  trovarono  e  liberarono  immediatamente  un
    posto  per  la nonna nonostante l'affollamento,  proprio al centro
    del tavolo,  vicino al croupier principale e vi  spinsero  la  sua
    poltrona.  Molti visitatori, che non giocavano, ma che in disparte
    osservavano il giuoco (specialmente inglesi con le loro famiglie),
    fecero subito ressa intorno al tavolo per poter guardare la  nonna
    al  di  sopra delle teste dei giocatori.  Molti occhialini vennero
    puntati dalla sua parte.  I "croupiers" sentirono nascere  qualche
    speranza:  una  giocatrice  cosi  straordinaria  pareva promettere
    qualcosa di non comune.  Una donna di settantacinque anni  con  le
    gambe  paralizzate  e  che  aveva  voglia di giocare rappresentava
    certo un caso fuori del comune.  Mi feci  anch'io  strada  tra  la
    folla  e  andai  a  mettermi vicino alla nonna.  Potapytch e Marfa
    erano rimasti indietro,  da una parte,  in mezzo  alla  gente.  Il
    generale,  Polina,  De-Grieux e mademoiselle Blanche rimasero pure
    loro da parte, tra gli spettatori.
    La nonna prima si mise a osservare i  giocatori.  Mi  rivolgeva  a
    mezza voce brusche, rapide domande: quello chi e? chi e quella? Le
    piacque  in  modo particolare,  all'estremita del tavolo,  un uomo
    molto giovane,  che faceva  un  giuoco  molto  sostenuto;  puntava
    migliaia  di franchi e ne aveva gia vinti,  si sussurrava in giro,
    circa quarantamila che gli stavano davanti in mucchi di oro  e  di
    biglietti di banca.  Era pallido;  gli occhi gli sfavillavano e le
    mani gli tremavano; puntava ormai senza nessun calcolo, quello che
    la  mano  riusciva  ad   afferrare,   eppure   vinceva,   vinceva,
    ammucchiava,   ammucchiava...   I  lacche  gli  si  affaccendavano
    attorno, gli spingevano sotto la poltrona,  gli facevano un po' di
    largo  perche avesse piu spazio,  perche la gente non gli premesse
    addosso,  e tutto questo in attesa di una ricca ricompensa.  Certi
    giocatori danno loro a volte una parte della vincita senza nemmeno
    contare,  ma  cosi,  per  la  gioia,  quanto  con  la mano possono
    pigliare dalla tasca.  Vicino al giovane si era gia  sistemato  un
    polacchino,  che  si  dava  da  fare  in  tutti i modi,  e in tono
    rispettoso, ma senza pausa, gli sussurrava qualcosa, probabilmente
    indicandogli come puntare,  dando consigli e guidando il gioco  e,
    si  capisce,  in  attesa  anche lui di un regalo!  Ma il giocatore
    quasi  non  lo  guardava,  puntava  a  casaccio  e  continuava  ad
    ammucchiare. Era visibilmente smarrito.
    La nonna lo osservo per qualche minuto.
    "Digli," esclamo improvvisamente agitandosi e spingendomi,  "digli
    che la smetta,  che prenda al piu presto il denaro e se  ne  vada.
    Perdera,  ora  perdera  tutto!"  si  affannava,  senza  quasi  piu
    respirare per l'agitazione. "Dov'e Potapytch?  Mandagli Potapytch!
    Ma  diglielo,  diglielo,  dunque!"  mi  urtava.  "Dov'e,  insomma,
    Potapytch? 'Sortez,  sortez!'" comincio quasi a gridare lei stessa
    al giovanotto.  Mi chinai e le sussurrai in tono deciso che li non
    si poteva gridare e che non era permesso neppure alzare un po'  la
    voce  perche  questo  disturbava  i  calcoli,  e  che ci avrebbero
    cacciati via.
    "Che rabbia!  E' un uomo che si perde...  ma si vede che e lui che
    lo vuole... Non posso piu guardarlo, mi mette in agitazione... Che
    babbeo!" e la nonna si giro in fretta dall'altra parte.
    La,  a  sinistra,  all'altra  meta  del  tavolo,  si  notava tra i
    giocatori una giovane signora e vicino a lei una specie  di  nano.
    Chi  fosse  quel  nano  non  so: se un suo parente o se lo tenesse
    cosi,  per fare colpo.  Quella signora l'avevo  gia  vista  prima:
    compariva ogni giorno al tavolo da giuoco, all'una del pomeriggio,
    e  se ne andava alle due in punto: giocava ogni giorno per un'ora.
    La conoscevano tutti e si affrettavano a  porgerle  una  poltrona.
    Ella  tirava  fuori  di  tasca un po' d'oro,  qualche banconota da
    mille franchi e cominciava a puntare calma, fredda,  calcolatrice,
    segnando con la matita su un foglio di carta le cifre,  e cercando
    di trovare un sistema secondo il  quale,  a  un  certo  punto,  si
    raggruppavano le possibilita.  Puntava somme notevoli. Ogni giorno
    vinceva mille, duemila franchi,  non mai piu di tremila e,  subito
    dopo aver vinto, se ne andava. La nonna la osservo a lungo.
    "Be',  quella non perdera!  Quella non perdera! Chi e? Non lo sai?
    Di dove viene?"
    "E' una francese, dev'essere una di quelle..." sussurrai io.  "Ah,
    dal volo si conosce l'uccello.  Si vede che ha l'unghietta aguzza.
    Spiegami adesso che  cosa  significa  ogni  giro  e  come  bisogna
    puntare."
    Le  spiegai  come  potevo  che  cosa  significassero  le  numerose
    combinazioni delle puntate,  "rouge et noir",  "pair  et  impair",
    "manque  et passe" e,  infine,  le varie sfumature nel sistema dei
    numeri; la nonna ascoltava attenta, ricordava, chiedeva di nuovo e
    imparava.  A ogni sistema di puntata si poteva subito  portare  un
    esempio,   cosicche  era  possibile  imparare  e  ricordare  molto
    facilmente e in fretta. La nonna rimase molto contenta.
    "E che cos'e lo zero?  Ecco,  quel croupier ricciuto,  quello  piu
    importante,  ha  gridato ora: zero!  E perche ha rastrellato tutto
    quanto era sul tavolo? Tutto per se ha preso quel bel mucchio? Che
    significa questo?"
    "Lo zero, nonna, e il guadagno del banco. Se la pallina cade sullo
    zero tutto quello che e  stato  puntato  spetta  al  banco,  senza
    calcolo.  In verita,  si concede ancora un colpo alla pari,  ma il
    banco non paga niente."
    "Ma guarda un po'! E io non ricevo niente?"
    "No, nonna, ma se voi prima avete puntato sullo zero,  allora,  se
    esce lo zero, vi pagano trentacinque volte la posta."
    "Come?  Trentacinque volte?  Esce spesso? E perche, allora, questi
    tonti non puntano?"
    "Ci sono trentasei probabilita contro, nonna."
    "Sciocchezze, sciocchezze! Potapytch, Potapytch!  Aspetta,  ho del
    denaro  con  me,  ecco!" Ella tiro fuori dalla tasca un borsellino
    molto gonfio e ne prese un federico.
    "Tieni, punta subito sullo zero."
    "Nonna, lo zero e uscito soltanto adesso," dissi io, "e ora per un
    bel po' non uscira. Perderete molto; aspettate almeno un po'..."
    "Storie! Punta, ti dico!"
    "Permettete, ma forse non uscira piu fino a sera, potreste perdere
    anche mille federici: e gia successo."
    "Sciocchezze! Sciocchezze! Se hai paura del lupo,  non puoi andare
    nel bosco. Che? Hai perso? Punta ancora!"
    Perdemmo  anche il secondo federico e puntammo il terzo.  La nonna
    stava ferma a fatica al suo posto,  divorava con occhi febbrili la
    pallina  saltellante  per  le dentellature della ruota che girava.
    Perdemmo anche il terzo. La nonna era fuori di se,  non riusciva a
    stare ferma,  batte persino un pugno sul tavolo quando il croupier
    proclamo "trente-six" invece dell'atteso zero.
    "Guarda un po'!" esclamava  infuriata  la  nonna.  "Quando  uscira
    questo  maledetto  zeruccio?  Voglio  morire,  se non staro qui ad
    aspettare che venga fuori lo zero.  E' quel maledetto crupieruccio
    dai  capelli  ricci  che  fa  in  modo  che non esca mai!  Aleksej
    Ivanovitch, punta due monete d'oro alla volta! Ne perdi tanti che,
    se anche uscira lo zero, non prenderai nulla."
    "Nonna!"
    "Punta, punta! Non e denaro tuo."
    Puntai due federici.  La pallina volo a lungo sulla ruota,  infine
    prese  a saltellare sui dentelli.  La nonna tratteneva il respiro,
    stringendo il mio braccio. A un tratto: tac!
    "Zero!" proclamo il croupier.
    "Vedi, vedi!" disse la nonna, rivolgendosi verso di me,  raggiante
    e soddisfatta.  "Te lo dicevo, te lo dicevo! E' proprio il Signore
    che mi ha suggerito di  puntare  due  marenghi  d'oro.  E  adesso,
    quanto ricevero?  Perche non pagano?  Potapytch,  Marfa, dove sono
    andati? E i nostri dove si sono cacciati? Potapytch, Potapytch!"
    "Nonna,  dopo..." le bisbigliai.  "Potapytch e vicino alla  porta,
    qui non lo lasciano venire.  Guardate,  nonna, vi danno il denaro,
    prendetelo!" Gettarono alla nonna un pesante rotolo  sigillato  in
    carta  azzurra  con cinquanta federici e le contarono ancora venti
    federici sciolti.  Ammucchiai tutto  davanti  alla  nonna  con  la
    paletta.
    "Faites le jeu,  messieurs!  Faites le jeu,  messieurs! Rien ne va
    plus  (2)"  annunciava  il  croupier,   avvertendo  di  puntare  e
    preparandosi a far girare la roulette.
    "O Signore!  Siamo in ritardo!  Ora gireranno!  Punta,  punta!" si
    affannava la nonna.  "Non perdere tempo,  fa'  presto..."  gridava
    quasi fuori di se, urtandomi a tutta forza.
    "Ma dove devo puntare, nonna?"
    "Sullo  zero,  sullo  zero!  Di  nuovo  sullo  zero!  Punta il piu
    possibile! Quanto abbiamo in tutto? Settanta federici?  Non c'e da
    rimpiangerli, puntane venti per volta!"
    "Tornate in voi, nonna! Magari non esce piu per duecento volte! Vi
    assicuro che perderete un capitale!"
    "Storie,  storie...  Punta!  Ecco,  mi fischiano le orecchie... So
    quello che faccio..." replico la  nonna,  tremando  tutta  per  la
    frenesia.
    "Secondo  il  regolamento  non  e  permesso  puntare piu di dodici
    federici alla volta sullo zero, nonna; ecco, li ho puntati."
    "Come,  non e permesso?  Non mi racconti mica delle storie,  vero?
    'Mussie!  Mussie'"  e  urto il "croupier" che stava seduto proprio
    alla sua sinistra  e  si  preparava  a  far  girare  la  roulette.
    "Combien zero? douze? douze?"
    Mi affrettai a spiegargli la domanda in francese.
    "Oui,  madame" confermo cortesemente il croupier,  "cosi pure ogni
    singola puntata non deve oltrepassare i  quattromila  fiorini  per
    volta: e il regolamento" aggiunse come chiarimento.
    "Be', non c'e niente da fare... puntane dodici!"
    "Le jeu est fait (3)" grido il croupier. La ruota si mise a girare
    e venne fuori il tredici! Avevamo perduto!
    "Ancora!  Ancora!  Punta  ancora!" gridava la nonna.  Ormai non la
    contraddicevo piu e, stringendomi nelle spalle, misi ancora dodici
    federici.  La ruota giro a lungo.  La nonna ne  seguiva  il  moto,
    tremando addirittura.  "Ma possibile che creda veramente di far di
    nuovo zero!" pensai,  guardandola  con  meraviglia.  Una  risoluta
    convinzione di vincere le illuminava il viso,  l'attesa sicura che
    tra poco avrebbero gridato: zero! La pallina salto in una casella.
    "Zero!" annunzio il croupier.
    "Cosa?" grido la nonna, rivolgendosi a me in preda a una frenetica
    esultanza.
    Ero anch'io un giocatore;  lo sentii in quel preciso  momento.  Le
    gambe  e  le braccia mi tremavano,  ebbi l'impressione di ricevere
    una mazzata sulla testa!  Certo era stato un caso raro che in  una
    decina di volte fosse saltato fuori per tre volte lo zero;  ma non
    c'era niente di particolarmente straordinario. Ero stato io stesso
    testimonio di come due giorni prima lo zero era uscito  tre  volte
    di  seguito,  e uno dei giocatori che segnava diligentemente su un
    foglietto i colpi, aveva osservato, a voce alta, che non piu tardi
    del giorno precedente questo stesso zero era  capitato  una  volta
    sola nel giro di ventiquattro ore.
    Alla  nonna,  come  alla  giocatrice  che aveva vinto la somma piu
    alta,  il  pagamento  fu  effettuato  con  particolare,  deferente
    attenzione.   Le   spettavano  giusto  quattrocentoventi  federici
    esatti,  cioe  quattromila  fiorini  e  venti  federici.  I  venti
    federici glieli passarono in oro e i quattromila in banconote.
    Questa  volta la nonna non chiamo Potapytch;  era ben diversamente
    occupata. Non si agitava neppure e,  apparentemente,  non tremava.
    Essa,  se  cosi  ci  si  puo  esprimere,  tremava  dentro.  Si era
    concentrata tutta in un solo pensiero: l'aveva preso di mira!
    "Aleksej Ivanovitch!  Ha detto che  si  possono  puntare  soltanto
    quattromila  fiorini?  Su,  prendi,  punta  questi quattromila sul
    rosso!" ordino la nonna.
    Era inutile provare a dissuaderla. La ruota si mise a girare.
    "Rouge." proclamo il croupier.
    Di nuovo una vincita di quattromila  fiorini,  in  tutto,  quindi,
    otto.
    "Quattromila  dalli  a me e gli altri quattro puntali di nuovo sul
    rosso!" ordino la nonna.
    Ne puntai altri quattromila.
    "Rouge!" proclamo di nuovo il "croupier".
    "Dodicimila in tutto! Dammeli. Versa l'oro qui, nel borsellino,  e
    i biglietti nascondili.  E adesso basta. A casa! Spingete indietro
    la poltrona!"


    NOTE.
    1) "Da sola, fara delle sciocchezze."
    2) "Puntate, signori, puntate! Basta, non si puo piu puntare!"
    3) "Il gioco e fatto!"
    11.

    La poltrona fu fatta rotolare verso la porta,  all'altra estremita
    della  sala.  La  nonna  era  raggiante.  Tutti  i  nostri  le  si
    affollarono intorno congratulandosi con lei. Per quanto eccentrico
    fosse il comportamento della  nonna,  il  suo  trionfo  compensava
    molte  cose,  e  il  generale  stesso  non  aveva  piu  timore  di
    compromettersi in pubblico per i suoi rapporti  di  parentela  con
    una  donna cosi strana.  Con un sorriso indulgente e familiarmente
    allegro,  come se facesse divertire un bambino,  si  felicito  con
    lei.  Del  resto,  come  tutti  gli altri spettatori,  era rimasto
    visibilmente colpito.  Tutt'intorno la gente parlava e indicava la
    vecchia signora.  Molti le passavano accanto per osservarla piu da
    vicino.  Mister Astley,  in disparte,  parlava di lei con due suoi
    conoscenti   inglesi,   mentre   alcune   signore  spettatrici  la
    guardavano con solenne perplessita come un prodigio.  De-Grieux si
    profondeva in sorrisi e in rallegramenti.
    "Quelle victoire! (1)" esclamava.
    "Mais,  madame,  c'etait  du  feu  (2)"  aggiunse  con  un sorriso
    incantevole mademoiselle Blanche.
    "Sissignori, mi ci sono buttata e ho vinto dodicimila fiorini!  Ma
    che dodici!  E l'oro?  Con l'oro sono quasi tredicimila. E quant'e
    in moneta nostra?  Saranno seimila rubli,  no?"  Risposi  che,  al
    cambio  del  momento,  erano  circa  settemila e che,  magari,  si
    sarebbe arrivati anche a otto.
    "Uno scherzo, ottomila! E voi, citrulli, ve ne state qui senza far
    niente! Potapytch, Marfa, avete visto?"
    "Matushka, ma come avete fatto?  Ottomila rubli..." esclamo Marfa,
    agitandosi tutta.
    "Prendete, eccovi cinque marenghi per ciascuno..."
    Potapytch e Marfa si precipitarono a baciarle la mano.
    "Anche  ai  portatori  date  un  federico.  Dagli un marengo d'oro
    ciascuno,  Aleksej Ivanovitch.  Perche questo domestico  fa  tanti
    inchini?  E  anche  quell'altro?  Si  congratulano?  Da'  anche un
    federico a loro."
    "Madame la princesse... un pauvre expatrie... malheur continuel...
    les princes russes  sont  si  genereux...(3)"  mormorava,  girando
    attorno  alla  poltrona,  un  individuo  dal soprabito logoro,  il
    panciotto variopinto, con i baffi, il berretto a sghimbescio e con
    un sorriso strisciante sulle labbra...
    "Dagli un federico anche a lui.  No,  dagliene  due...  Ma  adesso
    basta,  altrimenti con questa gente non la finiamo piu.  Alzatemi,
    portatemi   via!    Praskovja"   disse   rivolgendosi   a   Polina
    Aleksandrovna,  "domani  ti  comprero un vestito e ne comprero uno
    anche a quella mademoiselle...  come  si  chiama?...  mademoiselle
    Blanche, vero? Traduci quello che ho detto, Praskovja!"
    "Merci,  madame"  rispose  mademoiselle  Blanche  con  un grazioso
    inchino,  atteggiando la bocca a un sorriso canzonatorio scambiato
    con il generale e con De-Grieux.  Il generale era un po' confuso e
    si rallegro moltissimo quando arrivammo al viale.
    "E Fedossja? Immagino come ora si meravigliera Fedossja," disse la
    nonna,  ricordandosi della bambinaia  del  generale  che  lei  ben
    conosceva.  "Anche  a  Fedossja bisognera regalare un abito.  Ehi,
    Aleksej Ivanovitch,  Aleksej Ivanovitch,  da'  qualcosa  a  questo
    mendicante!"
    Per  la  strada passava uno straccione con la schiena curva,  e ci
    guardava.
    "Quello,  forse,  non e neppure un mendicante,  nonna,  ma solo un
    poco di buono qualsiasi..."
    "Ma su, su... dagli un gulden!"
    Mi  avvicinai  e  glielo  diedi.  Egli  mi  guardo  con una strana
    perplessita,  tuttavia prese il gulden  in  silenzio.  Puzzava  di
    vino.
    "E tu, Aleksej Ivanovitch, non hai ancora tentato la sorte?"
    "No, nonna."
    "Eppure ti brillavano gli occhi... l'ho visto."
    "Ma in seguito tentero sicuramente, nonna!"
    "E  punta  subito  sullo zero!  Vedrai...  A quanto ammonta il tuo
    capitale?"
    "Venti federici in tutto, nonna!"
    "Poco.  Ti imprestero,  se vuoi,  cinquanta federici.  Ecco questo
    rotolo,  prendilo,  ma tu,  batjushka,  non aspettare, a te non ne
    daro!" disse all'improvviso, rivolta al generale.
    Questi si senti tutto rimescolare, ma non fiato. De-Grieux fece il
    viso scuro.
    "Que diable, c'est une terrible vieille! (4)" disse tra i denti al
    generale.
    "Un mendicante,  un mendicante,  di nuovo un mendicante!" grido la
    nonna. "Aleksej Ivanovitch, da' anche a lui un gulden."
    Questa  volta  c'eravamo  imbattuti in un vecchio canuto,  con una
    gamba di legno,  che indossava una specie di  soprabito  a  lunghe
    falde  di  color turchino e aveva un bastone in mano.  Sembrava un
    vecchio soldato.  Ma quando gli porsi un  gulden,  fece  un  passo
    indietro e mi guardo con aria minacciosa.
    "Was  ist's  der  Teufel  (5)" grido,  aggiungendovi una decina di
    insulti.
    "Che razza di imbecille!" esclamo la  nonna,  agitando  una  mano.
    "Portatemi oltre!  Mi e venuta fame! Ora si mangera subito, poi mi
    riposero un po' e poi di nuovo la!"
    "Volete giocare ancora, nonna?" gridai.
    "E che cosa credevi?  Che se voi state qui a  inacidire  io  debba
    restare a guardarvi?"
    "Mais,  madame..."  si  avvicino  De-Grieux,  "les chances peuvent
    tourner, une seule mauvaise chance et vous perdrez tout... Surtout
    avec votre jeu... c'etait terrible! (6)"
    "Vous perdrez absolument (7)" cinguetto mademoiselle Blanche.
    "E a voi che importa? Non perdo mica del vostro...  perdo del mio!
    e dov'e quel mister Astley?" mi chiese.
    "E' rimasto al Casino, nonna."
    "Peccato; e una persona tanto simpatica!"
    Arrivati  a  casa,  la  nonna,  incontrando  sulla  scala  il capo
    cameriere,  lo chiamo a se e si vanto della vincita;  fece  quindi
    venire  Fedossja,  le  regalo  tre federici e ordino di servire il
    pranzo.  Fedossja e Marfa,  per tutta la  durata  del  pranzo,  si
    profusero in ringraziamenti davanti a lei.
    "Io  vi  guardavo,  matushka,"  cinguettava  Marfa,  "e chiedevo a
    Potapytch che cosa mai voleva fare la madre nostra.  E sul  tavolo
    quanto denaro,  quanto denaro.  Santi benedetti!  In tutta la vita
    non avevo mai visto  tanto  denaro,  e  li  intorno  erano  seduti
    soltanto  signori.  Di  dove  vengono,  chiesi a Potapytch,  tutti
    questi signori?  E pensavo: 'Aiutala  tu,  santa  Madre  di  Dio!'
    Pregavo per voi,  matushka,  mi sentivo mancare il cuore,  ecco...
    mancare il cuore e tremavo,  tremavo  tutta!  'Signore,  aiutala!'
    pregavo,  e  il  Signore,  ecco,  vi ha aiutata!  E ancora adesso,
    matushka, come tremo, come tremo tutta..."
    "Aleksej Ivanovitch,  dopo pranzo,  verso le  quattro,  preparati,
    andremo.  E adesso, intanto, addio, e non dimenticarti di mandarmi
    a chiamare un dottorucolo qualsiasi: bisogna  pur  bere  anche  le
    acque. Se no, magari me ne dimentico."
    Lasciai la nonna quasi inebetito. Cercavo di immaginare quello che
    sarebbe  successo di tutti i nostri e quale piega avrebbe preso la
    faccenda.  Vedevo chiaramente che loro (il  generale  soprattutto)
    non  erano  ancora  riusciti  a  riprendersi  neanche  dalla prima
    impressione.  Il fatto  della  comparsa  della  nonna  invece  del
    telegramma  che  annunciasse  la  sua  morte,  aspettato da un'ora
    all'altra (e quindi anche dell'eredita), aveva tanto scombussolato
    tutto il sistema dei loro propositi e delle  decisioni  prese  che
    essi,  con autentica perplessita e con una specie di sbalordimento
    che si era abbattuto su tutti, pensavano alle prossime gesta della
    nonna alla roulette.  E intanto questo secondo avvenimento non era
    meno  importante del primo perche,  nonostante la nonna avesse per
    ben due volte dichiarato che non avrebbe dato denaro al  generale,
    tuttavia,  chi  sa,  non si doveva ancora perdere completamente la
    speranza.  E non la perdeva De-Grieux,  interessato  in  tutte  le
    faccende  del  generale.  Io ero convinto che neppure mademoiselle
    Blanche,  anche lei molto interessata (e sfido io!  Si trattava di
    diventare  generalessa  e  di una cospicua eredita!),  non avrebbe
    perso le speranze e avrebbe usato tutta  la  seduzione  delle  sue
    moine  con  la  nonna,  in  contrasto  con quella ostinata e fiera
    Polina,  incapace di essere affettuosa con  chiunque.  Ma  adesso,
    adesso  che  la  nonna  aveva compiuto simili gesta alla roulette,
    adesso che la personalita della vecchia si era  rivelata  loro  in
    modo  cosi tipico ed evidente (una vecchia bisbetica,  ambiziosa e
    "tombee  en  enfance"),  adesso,  si,  forse  tutto  era  perduto;
    contenta  come un bambino di aver trovato qualcosa su cui gettarsi
    e per cui darsi da fare,  si sarebbe rovinata.  Mio  Dio,  pensavo
    (perdonami,  Signore),  con il piu maligno dei miei sorrisi,  ogni
    federico che la nonna ha puntato poco fa e stata  una  ferita  nel
    cuore  del  generale,  ha  mandato  in bestia De-Grieux e ha fatto
    infuriare mademoiselle de Cominges,  che si vedeva passare davanti
    alla bocca il cucchiaio pieno. Ed ecco un'altra circostanza: anche
    dopo la vincita, quando la nonna per la gioia distribuiva denaro a
    tutti  e scambiava ogni passante per un mendicante,  anche in quei
    momenti le era sfuggito contro il generale: "Ma a te,  del  resto,
    denaro,  non  ne  daro!"  Questo significava che si era fissata su
    quel pensiero,  che vi si era intestardita e l'aveva giurato a  se
    stessa; era molto, molto pericoloso!
    Queste  considerazioni  passavano  per  la mia testa mentre salivo
    dall'appartamento della nonna,  per lo scalone,  all'ultimo  piano
    dov'era  la  mia  cameretta.  Tutto  cio occupava vivamente il mio
    pensiero;  sebbene,  com'e logico,  potessi gia  prima  indovinare
    quali  erano i fili piu evidenti e importanti che legavano davanti
    a me gli attori,  tuttavia non conoscevo  in  modo  definitivo  le
    pieghe  e  i  segreti  del gioco.  Polina non era mai stata con me
    pienamente fiduciosa.  Se pure capitava,  a dire il  vero,  che  a
    volte  mi  aprisse  quasi  involontariamente  il suo cuore,  avevo
    osservato che spesso, anzi quasi sempre, dopo queste confidenze, o
    volgeva  in  riso  tutto  quello  che  era  stato  detto,   o   lo
    ingarbugliava  e,  con intenzione,  dava a tutto un falso aspetto.
    Oh,  molte cose lei nascondeva!  In ogni caso io sentivo che stava
    avvicinandosi  il  finale  di quella situazione tesa e misteriosa.
    Ancora un altro colpo,  e tutto si sarebbe  concluso  e  chiarito.
    Della mia sorte, benche interessato com'ero a tutto questo, non mi
    preoccupavo quasi per niente.  Che strano stato d'animo il mio: in
    tasca ho venti federici,  sono lontano,  in  un  paese  straniero,
    senza  un  posto  e senza mezzi di sostentamento,  senza speranze,
    senza progetti e non me ne preoccupo!  Se non fosse il pensiero di
    Polina,   mi   abbandonerei   del   tutto   al  prossimo,   comico
    scioglimento, e ci riderei su di gusto. Ma Polina mi turba; la sua
    sorte si sta decidendo, questo l'ho preavvertito ma,  lo confesso,
    non e affatto la sua sorte che mi inquieta. Ho voglia di penetrare
    i  suoi  segreti,  vorrei che lei venisse da me a dirmi: "Ma io ti
    amo!" e se no, se questa follia non e neppure pensabile, allora...
    che cosa mai mi resta  da  desiderare?  So  forse  io  quello  che
    desidero?  Sono  io  stesso come smarrito;  vorrei soltanto essere
    vicino a lei, nella sua aureola,  nella sua luce,  in eterno,  per
    sempre, per tutta la vita. Oltre a questo, non so niente! Ma posso
    forse allontanarmi da lei?
    Al terzo piano, nel loro corridoio, sentii come un urto. Mi voltai
    e,  a venti passi o poco piu, vidi Polina che usciva da una porta.
    Sembrava che mi avesse aspettato e spiato; subito mi chiamo a se.
    "Polina Aleksandrovna!"
    "Piu piano!" mormoro.
    "Figuratevi," le dissi in un bisbiglio,  "che poco fa  ho  sentito
    come un urto al fianco...  Mi volto...  e vedo voi! come se da voi
    emanasse un fluido elettrico!"
    "Prendete questa lettera!" disse Polina con fare preoccupato e con
    il viso accigliato,  certamente senza avere sentito quello che  le
    avevo  detto,  "e  consegnatela  personalmente  a  mister  Astley,
    subito. Il piu presto possibile, vi prego. Non serve risposta. Lui
    stesso..."
    Non fini la frase.
    "A mister Astley?" chiesi con stupore.
    Ma Polina era gia scomparsa dietro la porta.
    "Ah!  Sono dunque  in  corrispondenza!"  pensai.  Corsi  subito  a
    cercare  mister Astley prima nel suo albergo,  dove non lo trovai,
    poi al Casino dove percorsi invano tutte le sale, infine, stizzito
    e  quasi  in  preda  alla  disperazione,   lo  incontrai,   mentre
    rientravo,  a cavallo tra un gruppo di signori e dame inglesi.  Lo
    chiamai con un cenno,  egli  si  fermo,  e  io  gli  consegnai  la
    lettera. Non facemmo in tempo nemmeno a scambiarci un'occhiata. Ma
    io  sospetto  che  mister  Astley  abbia a bella posta prontamente
    fatto partire il cavallo.
    Mi tormentava forse la gelosia?  Ma io ero in  uno  stato  d'animo
    abbattutissimo. Non volevo neppure sapere che cosa si scrivessero.
    Dunque,  era il suo uomo di fiducia! "Amico, certo, lo e" pensavo,
    "questo e evidente (ma quando ha fatto in tempo a diventarlo?), ma
    c'e poi amore, li? Certo che no", mi sussurrava la ragione.  Ma si
    sa  che in simili casi la ragione da sola non basta.  In ogni caso
    c'era da chiarire anche questo.  La faccenda andava  complicandosi
    spiacevolmente.
    Non  ebbi  tempo di entrare nell'albergo che il portiere e il capo
    cameriere,  uscito  dalla  sua  stanza,   mi  avvertirono  che  mi
    cercavano  e  che  gia  ben  tre  volte avevano mandato a chiedere
    dov'ero; e mi si pregava di andare al piu presto nell'appartamento
    del generale.  Ero di pessimo umore.  Nello  studio  del  generale
    trovai,   oltre  a  lui,  naturalmente  De-Grieux  e  mademoiselle
    Blanche,  sola,  senza la madre.  La  madre  era  decisamente  una
    comparsa  che si usava soltanto per figura;  ma quando si trattava
    di un affare vero e proprio,  allora mademoiselle Blanche agiva da
    sola.  E  chi  sa  poi se quell'altra sapeva qualcosa degli affari
    della sua sedicente figliola!
    Essi, i tre, discutevano con calore su non so che cosa,  e persino
    la porta dello studio era stata chiusa,  il che non succedeva mai.
    Avvicinandomi alla porta,  sentii delle voci concitate: la parlata
    insolente e maligna di De-Grieux,  le grida insultanti e furibonde
    di Blanche e la voce piagnucolosa del generale,  che evidentemente
    si  giustificava  di  qualche accusa.  Al mio apparire tutti e tre
    sembrarono frenarsi e assumere un contegno diverso.  De-Grieux  si
    liscio  i  capelli e muto il viso irato in un viso sorridente,  di
    quel brutto sorriso francese,  ufficialmente amabile,  che io odio
    tanto.  Il  generale,  abbattuto e smarrito,  cerco di assumere un
    aspetto dignitoso,  ma come meccanicamente.  La sola  mademoiselle
    Blanche non aveva quasi mutato il suo aspetto che sprizzava sdegno
    e si limito a tacere,  puntando su di me uno sguardo di impaziente
    attesa. Notero che lei si era, fino a quel momento, comportata con
    me con una noncuranza inverosimile  all'eccesso,  non  rispondendo
    addirittura ai miei saluti: semplicemente non mi notava.
    "Aleksej  Ivanovitch"  comincio  a  dire  il  generale  in tono di
    affettuoso rimprovero,  "permettetemi di  farvi  osservare  che  e
    strana,  straordinariamente  strana...  in  una parola,  la vostra
    condotta verso di  me  e  la  mia  famiglia...  in  una  parola  e
    straordinariamente strana!"
    "Eh!  ce n'est pas ca! (8)" interruppe De-Grieux in tono di stizza
    e di disprezzo.  (Decisamente  egli  dirigeva  tutto!)  "Mon  cher
    monsieur,  notre  cher general se trompe (9),  assumendo un simile
    tono" (continuo il suo discorso in russo) "ma egli voleva dirvi...
    cioe avvertirvi  o,  meglio  ancora,  pregarvi  vivamente  di  non
    rovinarlo...     si,     di    non    rovinarlo!    Uso    proprio
    quest'espressione..."
    "Ma in che modo, in che modo?" lo interruppi.
    "Scusate,  voi vi incaricate di far da guida (o come dovrei dire?)
    a  quella vecchia,  cette pauvre,  terrible vieille," continuo De-
    Grieux confondendosi anche  lui,  "ma  quella  perdera  tutto,  si
    rovinera  completamente!   Avete  visto  anche  voi,  siete  stato
    spettatore del suo modo di giocare! Se comincera a perdere, non si
    allontanera piu da quel tavolo  per  ostinazione,  per  rabbia,  e
    giochera  tutto,  giochera  tutto...  e  in  simili casi non e piu
    possibile rifarsi, e allora... allora..."
    "E allora," intervenne il generale,  "allora voi  avrete  rovinato
    tutta la famiglia! Io e la mia famiglia siamo i suoi eredi; non ha
    parenti  piu  stretti.  Vi  diro  francamente:  i miei affari sono
    malandati,  molto malandati.  Voi stesso in parte lo sapete...  Se
    lei  perdera una somma considerevole,  o magari anche tutto il suo
    patrimonio (oh Dio!),  che sara allora di noi,  dei miei bambini?"
    Il  generale  si  giro a guardare De-Grieux.  "E di me!" (A questo
    punto diede  un'occhiata  a  mademoiselle  Blanche  che  con  aria
    sprezzante   si   giro  dall'altra  parte.)  "Aleksej  Ivanovitch,
    salvateci, salvateci!"
    "Ma come, generale, come posso... Che cosa conto io, qui?"
    "Rifiutate, rifiutate di accompagnarla!"
    "E allora trovera un altro!" esclamai io.
    "Ce n'est pas ca,  ce n'est pas ca" interruppe di nuovo De-Grieux,
    "que  diable!   No,   non  lasciatela,  ma  almeno  consigliatela,
    esortatela,  distraetela...  E,  infine,  non permettete che perda
    troppo, cercate di allontanarla in qualche modo..."
    "Ma  come faro?  Se ve ne incaricaste voi,  monsieur De-Grieux" lo
    interruppi con l'aria piu ingenua possibile.
    A questo punto notai uno sguardo rapido, infuocato e interrogativo
    di mademoiselle Blanche a De-Grieux.  Sul viso di De-Grieux baleno
    qualcosa di sincero che egli non era riuscito a nascondere.
    "Ma  il  fatto e proprio questo,  che lei adesso non mi vorrebbe!"
    grido gesticolando De-Grieux. "Se... poi..."
    De-Grieux lancio un rapido e significativo sguardo a  mademoiselle
    Blanche.
    "O  mon  cher  monsieur Alexis,  soyez si bon...(10)" disse con un
    affascinante sorriso mademoiselle Blanche in persona,  facendo  un
    passo verso di me,  afferrandomi entrambe le mani e stringendomele
    forte.   Il  diavolo  mi  porti!   Quel  viso   diabolico   sapeva
    trasformarsi   in   un   attimo.   In   quell'istante  esso  prese
    un'espressione supplichevole dolcissima,  infantilmente sorridente
    e  persino  birichina;  verso  la fine della frase essa mi strizzo
    furbescamente  un  occhio,  di  nascosto  a  tutti;  voleva  forse
    confondermi  in  un  colpo  solo?  E la cosa non le riusci neppure
    male, a parte il fatto che era tremendamente volgare.
    Dopo di lei, salto su il generale, proprio salto su:
    "Aleksej Ivanovitch,  perdonate se poco fa ho cominciato a parlare
    cosi con voi...  ma non volevo affatto dire quello... Io vi prego,
    vi supplico, mi inchino davanti a voi,  alla russa: voi solo,  voi
    solo   potete   salvarci!   Io   e  mademoiselle  de  Cominges  vi
    supplichiamo...   voi  capite,   vero,   voi  capite?"  implorava,
    indicandomi con lo sguardo mademoiselle Blanche.  Faceva veramente
    pena.
    In quel momento risuonarono tre colpi leggeri  e  rispettosi  alla
    porta; fu aperto; aveva bussato il cameriere del piano e dietro di
    lui,  a qualche passo, stava Potapytch. Li aveva mandati la nonna,
    con l'ordine di trovarmi e farmi andare immediatamente da lei; "E'
    arrabbiata" comincio Potapytch.
    "Ma sono soltanto le tre e mezzo!"

8

Re: Достоевский Ф. М. - Игрок ( перевод на итальянский язык )

"Non ha potuto nemmeno dormire, ha continuato a rigirarsi di qua e
    di la;  poi di colpo si e alzata,  ha chiesto la poltrona e mi  ha
    mandato a chiamarvi. Adesso e sulla scala..."
    "Quelle megere (11)" grido De-Grieux.
    In   realta  trovai  la  nonna  gia  sulla  scala,   fuori  di  se
    dall'impazienza perche io non c'ero ancora.  Non  aveva  resistito
    fino alle quattro.
    "Su, alzatemi!" grido, e ci avviammo di nuovo alla roulette.


    NOTE.
    1) "Che vincita!"
    2) "Ma che fuoco, signora!"
    3)  "Signora  principessa...   un  povero  emigrante...  disgrazie
    continue... i principi russi sono tanto generosi..."
    4) "Diavolo, e una vecchia terribile!"
    5) "Che significa cio... diavolo!"
    6)  "Ma  signora,  la  fortuna  puo  cambiare...   un  solo  colpo
    sfortunato e perderete tutto... specialmente con il vostro modo di
    giocare: era terribile!"
    7) "Perderete certamente!"
    8) "Non si tratta di questo!"
    9) "Caro signore, il nostro buon generale si sbaglia."
    10) "Oh, mio caro signor Alexis, siate cosi buono..."
    11) "Che strega!"








    12.

    La nonna era in uno stato d'animo impaziente e irritato, si capiva
    che  la  roulette  le  stava fissa in mente.  A tutto il resto era
    indifferente e, in generale, molto distratta. Lungo la strada, per
    esempio,  non mi rivolse nessuna domanda.  Solo alla vista di  una
    lussuosa  carrozza  che era passata accanto a noi come un turbine,
    alzo una mano e chiese: "Che cos'e?  Di chi sono  i  cavalli?"  ma
    credo  che  non  abbia  nemmeno  sentito  la mia risposta;  il suo
    fantasticare era continuamente interrotto da rapidi movimenti  del
    corpo e da brusche e impazienti uscite.  Quando,  ormai gia vicini
    al Casino,  le  indicai  da  lontano  il  barone  e  la  baronessa
    Wurmerhelm,   lei   li  guardo  distrattamente  e,   con  assoluta
    indifferenza, disse: "Ah!" e, giratasi rapidamente verso Potapytch
    e Marfa che venivano dietro, brontolo:
    "Be',  perche vi siete appiccicati a me?  Non posso portarvi  ogni
    volta!  Tornate a casa!  Mi basti anche tu" aggiunse rivolta a me,
    quando  quelli,   dopo  essersi  frettolosamente   inchinati,   si
    avviarono verso casa.
    Al  Casino  la  nonna  era ormai attesa.  Le fu subito liberato lo
    stesso posto dell'altra volta,  vicino al croupier.  Mi sembra che
    questi  croupiers,  sempre  cosi  composti  e con l'aria di comuni
    impiegati ai quali e quasi perfettamente indifferente che il banco
    vinca o perda, non lo siano poi completamente e che, senza dubbio,
    siano forniti di istruzioni appropriate per attirare i giocatori e
    per meglio controllare l'interesse dello stato: per la qual  cosa,
    naturalmente,  ricevono ricompense e premi.  Per lo meno, la nonna
    era  gia  considerata  una  vittima.  Poi,  quello  che  i  nostri
    supponevano, successe.
    Ecco come ando.
    La  nonna  si butto difilato sullo zero e ordino di puntare subito
    dodici federici alla volta. Puntammo, una, due, tre volte: lo zero
    non usciva.
    "Punta, punta!" mi diceva con impazienza,  dandomi degli spintoni.
    Io ubbidivo.
    "Quante  volte  abbiamo  gia  puntato?"  chiese  infine,   facendo
    scricchiolare i denti dall'impazienza.
    "Abbiamo   fatto   la   dodicesima,    nonna,    e   perduto   gia
    centoquarantaquattro federici. Vi ripeto, nonna, che magari fino a
    questa sera..."
    "Taci!"  mi  interruppe la vecchia.  "Punta sullo zero e metti sul
    rosso mille fiorini. To', ecco il denaro."
    Usci il rosso,  e lo zero  fece  cilecca.  Ci  restituirono  mille
    fiorini.
    "Vedi,  vedi!" bisbigliava la nonna.  "Ci hanno ridato quasi tutto
    quello che abbiamo puntato.  Punta di nuovo sullo zero:  punteremo
    ancora una decina di volte e poi lasceremo stare."
    Ma alla quinta volta la nonna si era gia stufata.
    "Manda  al  diavolo  quello schifoso zeruccio.  Su,  punta tutti i
    quattromila fiorini sul rosso" mi ordino.
    "Nonna!  Sara troppo...  e se il rosso non esce?" le  dissi  quasi
    supplicando.  Poco manco che non mi picchiasse.  (E, del resto, mi
    dava tali spintoni che era quasi come se mi battesse.)  Non  c'era
    niente da fare: puntai sul rosso tutti i quattromila fiorini vinti
    poco prima. La ruota comincio a girare. La nonna sedeva calma e si
    era alzata con fierezza, senza il minimo dubbio sulla vittoria.
    "Zero!" esclamo il croupier.
    All'inizio  la  nonna  non  capi  ma,  quando vide che il croupier
    rastrellava i suoi quattromila gulden insieme con tutto quello che
    c'era sul tavolo e seppe che lo zero,  che cosi a  lungo  non  era
    uscito  e  sul quale avevamo puntato quasi duecento federici,  era
    saltato  fuori  quasi  a  bella  posta  non  appena  lei   l'aveva
    ingiuriato  e  abbandonato,  mando  un  "ah!" e batte le mani cosi
    forte che l'udirono per tutta la sala.  Qualcuno,  li attorno,  si
    mise a ridere.
    "Santi  benedetti!  Proprio quel dannato e saltato fuori!" urlo la
    nonna.  "Dannato d'un dannato!  Sei tu!  Sei  proprio  tu!"  urlo,
    scagliandosi  contro  di  me,  e  scotendomi.  "Sei  tu che mi hai
    dissuasa!"
    "Nonna,  io vi ho detto  come  stavano  le  cose;  ma  come  posso
    rispondere di tutte le probabilita?"
    "Te le daro io le probabilita!" sussurro minacciosamente. "Vattene
    via!"
    "Addio, nonna!" e mi girai per andarmene.
    "Aleksej Ivanovitch!  Aleksej Ivanovitch, rimani! Dove vai? Su, ma
    perche, perche? Guarda un po'... si e arrabbiato! Scemo! Sta' qui,
    vieni, sta' qui, non arrabbiarti, sono io una sciocca!  Su!  Dimmi
    che cosa bisogna fare adesso!"
    "Io,  nonna,  non  vi do piu nessun consiglio,  perche poi date la
    colpa a me. Giocate come vi pare: ordinate, e io puntero."
    "Su, su!  Su,  punta ancora quattromila gulden sul rosso!  Ecco il
    portafogli,  prendi!" Tiro fuori il portafogli dalla tasca e me lo
    porse. "Su, presto, prendi, ci sono ventimila rubli in contanti."
    "Nonna..." balbettai, "una puntata cosi..."
    "Voglio morire, se non mi rifaccio. Punta!" Puntammo e perdemmo.
    "Punta, punta, puntali tutti ottomila!"
    "Non si puo nonna, la puntata piu alta e di quattro..."
    "E allora puntane quattro!"
    Questa volta vincemmo. La nonna riprese animo.
    "Vedi,  vedi!" mi disse,  dandomi uno spintone.  "Puntane di nuovo
    quattro!"
    Puntammo e perdemmo; poi perdemmo ancora, e ancora.
    "Nonna, tutti i dodicimila se ne sono andati!" riferii.
    "Lo  vedo  che  se  ne sono andati tutti," disse con una specie di
    furore tranquillo, se cosi ci si puo esprimere, "vedo,  batjushka,
    vedo,"  borbottava,  guardando  davanti  a  se,  immobile  e  come
    pensierosa,  "eh!  voglio  morire,  ma  punta  ancora  quattromila
    gulden."
    "Ma  non  c'e  piu  denaro,  nonna:  qui nel portafogli ci sono le
    nostre cartelle al cinque per cento e delle lettere di cambio,  ma
    niente denaro."
    "E nel borsellino?"
    "Soltanto alcuni spiccioli, nonna."
    "Non  c'e qui un cambiavalute?  Mi hanno detto che i nostri valori
    si possono cambiare, no?" mi domando in tono deciso.
    "Oh si, quanto si vuole! Ma nel cambio perderete tanto che persino
    un ebreo si spaventerebbe!"
    "Sciocchezze!  Avro la rivincita!  Accompagnami.  Chiamate  subito
    quegli scemi!"
    Spinsi la poltrona, vennero i portatori e uscimmo dal Casino.
    "Presto, presto, presto!" ordinava la nonna. "Mostragli la strada,
    Aleksej Ivanovitch... prendi la via piu breve. E' lontano?"
    "Due passi, nonna."
    Ma  alla  svolta  dal  piazzale  sul viale incontrammo parte della
    nostra compagnia: il generale,  De-Grieux e  mademoiselle  Blanche
    con  la  mamma.  Polina  Aleksandrovna  non  era con loro e mister
    Astley neppure.
    "Su,  su,  su!  Senza fermarsi!" gridava la nonna.  "Che cosa fate
    qui? Non ho tempo di stare qui con voi!"
    Io camminavo dietro; De-Grieux corse da me.
    "Ha  perduto  appena  adesso  tutto quello che aveva vinto e ci ha
    rimesso dodicimila fiorini dei suoi.  Ora andiamo a  cambiare  dei
    titoli al cinque per cento" gli sussurrai in fretta.
    De-Grieux batte il piede in terra e si precipito a comunicare ogni
    cosa al generale. Noi continuammo a spingere la nonna.
    "Fermatela, fermatela!" mi sussurro il generale, furioso.
    "Provate un po' voi a fermarla..." gli dissi piano.
    "Zietta!"  si  avvicino  il generale,  "zietta...  noi ora...  noi
    ora..." e la voce gli tremava e gli veniva meno;  "noleggeremo dei
    cavalli  e  andremo  fuori citta...  C'e una vista stupenda...  la
    'pointe...' venivamo a invitarvi."
    "Va' a farti benedire con  la  tua  'puant'!"  esclamo  la  nonna,
    allontanandolo con un gesto irritato della mano.
    "La c'e un villaggio... prenderemo il te..." continuo il generale,
    ormai in preda alla disperazione.
    "Nous  boirons du lait sur l'herbe fraiche (1)" aggiunse De-Grieux
    con un odio furioso.
    "Du lait, de l'herbe fraiche",  ecco in che cosa consiste l'ideale
    idillico del borghese parigino;  in questo, com'e noto, sta il suo
    modo di vedere "la nature et la verite"!
    "Va' a quel paese con il tuo latte! Bevitelo tu, che a me ha fatto
    venire il mal di pancia.  Ma perche vi  siete  appiccicati  cosi?"
    grido la nonna. "Vi ho detto che non ho tempo!"
    "Siamo arrivati, nonna!" esclamai. "E' qui."
    La  spingemmo  davanti  a una casa dove si trovava l'ufficio di un
    banchiere.  Andai a cambiare;  la nonna rimase in  attesa  davanti
    all'ingresso;   De-Grieux,   il  generale  e  Blanche  stavano  in
    disparte,   non  sapendo  che  cosa  fare.   La  nonna  li  guardo
    irosamente, ed essi presero la strada per il Casino.
    Mi  proposero un cambio cosi svantaggioso che non ebbi il coraggio
    di  eseguire  l'operazione  e  tornai  dalla  nonna   a   chiedere
    istruzioni.
    "Ah,  briganti!"  si  mise  a gridare,  battendo le mani.  "Ma non
    importa,  cambia lo stesso!" mi  ordino  in  tono  deciso.  "No...
    aspetta, chiamami il banchiere."
    "Forse qualcuno degli impiegati, nonna?"
    "Si, anche un impiegato, e indifferente. Ah, che briganti!"
    Uno degli impiegati acconsenti a uscire,  dopo aver saputo che chi
    lo pregava  era  una  vecchia  contessa  inferma  che  non  poteva
    camminare.  La nonna per un bel pezzo,  a voce alta e adirata, gli
    rinfaccio la sua furfanteria e mercanteggio con lui in un misto di
    russo,  francese e tedesco,  mentre  io  la  aiutavo  a  tradurre.
    L'impiegato  ci guardava con espressione seria e scuoteva la testa
    in  silenzio.  Egli  fissava  la  nonna  con  una  curiosita  cosi
    insistente che rasentava la scortesia; infine prese a sorridere.
    "Be',  vattene!" grido la nonna.  "Che i miei quattrini ti restino
    in gola! Cambia qui, Aleksej Ivanovitch, non abbiamo tempo,  se no
    si potrebbe andare da un altro..."
    "L'impiegato dice che gli altri danno ancora meno."
    Non  ricordo  con  precisione  il  conteggio  di  allora,   ma  fu
    spaventoso.   Cambiai  circa  dodicimila  fiorini  in  oro  e   in
    biglietti, presi il conto e lo portai alla nonna.
    "Su, su, su... E' inutile star li a fare conti!" esclamo, agitando
    le mani. "Presto, presto, presto!"
    "Non  puntero  mai piu su quel maledetto zero e neppure sul rosso"
    dichiaro, mentre ci avvicinavamo al Casino.
    Questa volta provai con tutte le mie forze a convincerla a puntare
    il  meno  possibile,  assicurandola  che,  se  la  fortuna  avesse
    cambiato giro, avremmo sempre avuto il tempo di puntare una grossa
    cifra.  Ma lei era cosi impaziente che,  sebbene sulle prime fosse
    stata d'accordo,  non fu piu possibile frenarla durante il giuoco.
    Aveva appena cominciato a vincere puntate di dieci, venti federici
    che gia aveva ripreso a darmi degli spintoni dicendo:
    "Su,  su...  ecco!  Su,  ecco! Ecco che abbiamo vinto; se ci fosse
    stato un quattro al posto del  dieci,  avremmo  preso  quattromila
    gulden, e adesso? Sempre tu, sempre tu!"
    E,  per  quanto  mi irritassi guardando il suo gioco,  decisi alla
    fine di tacere e di non darle piu consigli.
    All'improvviso accorse De-Grieux. Erano tutti e tre vicini;  notai
    che  mademoiselle  Blanche stava un po' in disparte con la mamma e
    faceva  moine  al  principe.  Il  generale  era  evidentemente  in
    disgrazia,  quasi  messo  al  bando.  Blanche  non  voleva nemmeno
    guardarlo, sebbene egli la riempisse di cortesie. Povero generale!
    Impallidiva,  arrossiva,  trepidava e quasi non seguiva neppure il
    gioco  della  nonna.  Blanche  e  il  principotto  alla fine se ne
    andarono; il generale li segui.
    "Madame,  madame" sussurrava con voce melata De-Grieux alla nonna,
    spingendosi avanti fino al suo orecchio.  "Madame,  questa puntata
    non va...  no,  no...  non e  possibile..."  diceva  in  un  russo
    storpiato. "No!"
    "E come,  allora? Su, insegnamelo!" esclamo la nonna, rivolgendosi
    a lui.  De-Grieux improvvisamente si mise a parlare in  fretta  in
    fretta  in francese,  comincio a dare consigli,  ad affannarsi,  a
    dire che bisognava aspettare la buona sorte,  a fare  conteggi  di
    non  so  quali  cifre...  La  nonna non ci capiva niente.  Egli si
    rivolgeva continuamente a me perche io traducessi; puntava il dito
    sul tavolo, indicava e infine, afferrata la matita,  gia stava per
    iniziare a far dei conti su un foglietto, quando la nonna perse la
    pazienza.
    "Su, vattene, vattene! Non dici che sciocchezze! Madame, madame, e
    tu stesso non capisci niente. Vattene!"
    "Mais,  madame"  cinguetto De-Grieux,  riprendendo a ragionare e a
    spiegare. Era veramente molto preoccupato.
    "Su,  punta una volta come  dice  lui"  mi  ordino  la  nonna,  "e
    vedremo: forse uscira davvero."
    De-Grieux   voleva  soltanto  dissuaderla  dalle  grosse  puntate;
    proponeva di puntare sui  numeri,  singoli  e  a  gruppi.  Puntai,
    secondo  la  sua indicazione,  un federico su ciascun numero della
    serie dispari,  compresi tra i primi dodici,  e cinque federici su
    ciascuno  dei gruppi di cifre comprese tra il dodici e il diciotto
    e il ventiquattro; in tutto sedici federici.
    La ruota prese a girare.
    "Zero" proclamo il croupier.
    Avevamo perso tutto.
    "Che imbecille!" grido la nonna,  rivolgendosi a  De-Grieux.  "Che
    razza  di  indegno  francesuccio  sei!  E da anche consigli,  quel
    mostro!  Vattene,  vattene!  Non capisce niente e vuole ficcare il
    suo naso..."
    Terribilmente  offeso,  De-Grieux alzo le spalle,  guardo con aria
    sprezzante la nonna e  si  allontano.  Cominciava  egli  stesso  a
    vergognarsi  di  essersi impicciato in quella faccenda;  era stato
    troppo impaziente.
    Nello spazio di un'ora, per quanto ci battessimo,  avevamo perduto
    tutto.
    "A casa!" grido la nonna.
    Non pronuncio piu una parola fino al viale.  Nel viale, quando gia
    ci avvicinavamo all'albergo,  comincio a  lasciarsi  sfuggire  una
    serie di esclamazioni.
    "Che sciocca! Che scioccona! Sei proprio una stupida, stupidissima
    vecchia!"
    Non appena fummo entrati nell'appartamento grido:
    "Portatemi il te, e preparate subito i bagagli. Partiamo!"
    "Dove volete andare matushka?" chiese Marfa.
    "E  a  te  che  importa?  Il  grillo stia tranquillo nel suo buco!
    Potapytch, raccogli tutto, prepara il bagaglio.  Torniamo a Mosca!
    Quindicimila rubli d'argento mi sono giocata!"
    "Quindicimila  rubli,  matushka?  Oh,  mio  Dio!" grido Potapytch,
    unendo con aria contrita le mani  e  credendo,  probabilmente,  di
    rendersi gradito con quel gesto.
    "Su,  su,  stupido!  Mettiti anche a piagnucolare,  adesso!  Taci!
    Preparatevi! Il conto, presto, il conto!"
    "Il prossimo treno parte alle nove e mezzo, nonna" la informai per
    arrestare la sua frenesia.
    "E adesso che ore sono?"
    "Le sette e mezzo."
    "Che rabbia!  Ma non  importa!  Aleksej  Ivanovitch,  non  ho  piu
    nemmeno una copeca. Eccoti ancora due obbligazioni, corri laggiu e
    cambiami anche queste. Altrimenti non so con che cosa partire."
    Mi avviai.  Dopo mezz'ora,  rientrato all'albergo, trovai i nostri
    dalla nonna.  La notizia che essa stava per partire per  Mosca  li
    aveva colpiti,  a quanto pare,  ancora di piu delle sue perdite al
    giuoco.  E' vero che con la partenza si salvava il suo patrimonio,
    ma  che  sarebbe ora successo al generale?  Chi avrebbe pagato De-
    Grieux?  Mademoiselle Blanche,  si capisce,  non avrebbe aspettato
    che morisse la nonna ma,  senza dubbio,  avrebbe tagliato la corda
    con il piccolo principe o con qualcun altro. Erano tutti intorno a
    lei,  la consolavano e cercavano  di  dissuaderla.  Polina,  anche
    questa  volta,  non c'era.  La nonna imprecava furiosamente contro
    tutti.
    "Toglietevi dai piedi, diavoli! A voi che importa?  Perche,  barba
    di  caprone,  ti intrufoli qui?" gridava la nonna a De-Grieux.  "E
    tu, donnetta, che vuoi?" disse a mademoiselle Blanche,  "perche mi
    giri intorno?"
    "Diantre!" mormoro mademoiselle Blanche con gli occhi scintillanti
    di ira ma, di colpo, scoppio in una risata e usci.
    "Elle  vivra  cent  ans!"  grido,  mentre  varcava  la soglia,  al
    generale.
    "Ah,  dunque,  tu fai conto sulla mia morte?"  urlo  la  nonna  al
    generale.  "Vattene! Cacciali fuori tutti, Aleksej Ivanovitch! Che
    importa a voi? Mi sono mangiata il mio, non il vostro!"
    Il generale si strinse nelle spalle, si curvo e usci. De-Grieux lo
    segui.
    "Chiamare subito Praskovja!" ordino la nonna a Marfa.
    Dopo cinque minuti Marfa torno con Polina.  In tutto questo  tempo
    Polina  era  rimasta  in camera sua con i bambini e sembra che,  a
    bella posta,  avesse deciso di non uscirne per  tutto  il  giorno.
    Aveva un viso serio, triste e preoccupato.
    "Praskovja,"  comincio a dire la nonna,  "e vero cio che ho saputo
    indirettamente poco fa, che quell'imbecille del tuo patrigno vuole
    sposare quella sciocca farfallina d'una francese,  quell'attrice o
    peggio ancora? Dimmi, e vero?"
    "Di sicuro non lo so,  nonna," rispose Polina,  "ma, a quanto dice
    la  stessa  mademoiselle  Blanche  che  non   ritiene   necessario
    nasconderlo, concludo che..."
    "Basta!" la interruppe la nonna energicamente.  "Capisco tutto! Ho
    sempre creduto che da  lui  c'era  da  aspettarselo,  l'ho  sempre
    considerato l'uomo piu vuoto e piu leggero del mondo.  Si da tante
    arie perche e generale (era colonnello e e stato  promosso  quando
    era  gia  in  pensione) e si crede chi sa chi.  Io,  mia cara,  so
    tutto,  so che mandavate  a  Mosca  un  telegramma  dopo  l'altro:
    'Tirera  presto  le  cuoia,  quella  vecchia  nonna?'  Aspettavate
    l'eredita;  senza denaro  quella  vigliacca  donnetta...  come  si
    chiama?  de  Cominges o non so come...  non lo prenderebbe neanche
    come lacche, e per di piu con i denti finti.  Dicono che lei abbia
    un  mucchio di denaro,  lo presta a interesse,  denaro ammucchiato
    onestamente.  Io,  Praskovja,  non accuso te;  non sei stata tu  a
    mandare i telegrammi;  e il passato non voglio ricordarlo.  So che
    tu hai un caratterino di quelli... una vespa! Se pungi, dove pungi
    gonfia,  ma mi fai pena perche alla buon'anima  di  Katerina,  tua
    madre,  io  volevo  bene.  Vuoi?  Pianta qui tutti e parti con me.
    Ecco, qui non hai dove ficcarti e che tu resti qui con lui non sta
    bene.  Aspetta!" continuo la nonna,  interrompendo Polina che  gia
    stava per rispondere,  "non ho ancora finito. Da te non pretendero
    niente. La mia casa a Mosca, tu lo sai, e un palazzo;  tu potresti
    occupare un piano intero e non scendere da me per delle settimane,
    se il mio carattere non ti va a genio. Su, vuoi, oppure no?"
    "Permettete che prima vi chieda se volete davvero partire subito."
    "Scherzo io forse,  matushka? L'ho detto, e partiro. Oggi ho speso
    quindicimila  rubli,  alla  vostra  stramaledetta  roulette.   Nei
    dintorni  di  Mosca,   cinque  anni  fa,   ho  fatto  promessa  di
    ricostruire  in  pietra  la  chiesa  di  legno  e  adesso  qui  ho
    sperperato tutto. Ora, matushka, andro a ricostruire la chiesa."
    "E le acque, nonna? Eravate venuta per la cura delle acque, vero?"
    "Ma smettila con le tue acque!  Non farmi irritare,  Praskovja: lo
    fai apposta, vieni o no?"
    "Vi sono molto, molto grata, nonna," disse Polina, commossa,  "per
    il  rifugio  che  mi  offrite.  Avete  in  parte indovinato la mia
    situazione.  Vi sono cosi grata che,  credetemi,  verro da voi,  e
    forse anche presto;  ma ora ci sono dei motivi...  importanti... e
    non posso prendere una decisione cosi su due piedi.  Se voi  foste
    rimasta almeno due settimane..."
    "Sicche, non vuoi?"
    "Sicche,  non  posso.  E  non  posso,  in  ogni caso,  lasciar qui
    fratello e sorella perche...  perche puo effettivamente  succedere
    che restino abbandonati... Allora, se mi prenderete con i piccoli,
    nonna,  verro certamente da voi e,  credetemi, sapro meritarmelo!"
    aggiunse con calore. "Ma senza i bambini e impossibile, nonna!"
    "Su,   non  piagnucolare!"  (Polina  non  ci  pensava  neppure  di
    piagnucolare  e poi lei non piangeva mai!) "Anche per i pulcini si
    trovera un posto: il pollaio e grande.  E poi e ora che  vadano  a
    scuola.  Dunque,  adesso  non  vuoi  partire?  Ebbene,  Praskovja,
    guarda! Io vorrei il tuo bene; ma,  vedi,  lo so perche non parti.
    Io  so tutto,  Praskovja!  Non ti portera a niente di buono,  quel
    francesuccio."
    Polina si fece di fiamma. Io sussultai. (Lo sanno tutti!  Io solo,
    dunque, non so niente!)
    "Su,  su... non accigliarti. Non staro a tirarla tanto in lungo...
    Bada soltanto che non succeda qualche guaio,  capisci?  Tu sei una
    ragazza  intelligente;  mi dispiacerebbe per te.  Ma adesso basta,
    non vorrei piu avervi qui davanti! Va', addio!"
    "Io, nonna, vi accompagnero ancora" disse Polina.
    "Non serve, non disturbarti; e poi mi siete venuti tutti a noia."
    Polina bacio la mano alla nonna,  ma quella la ritiro e  bacio  la
    fanciulla sulla guancia.
    Passandomi vicino,  Polina mi lancio un rapido sguardo,  ma subito
    distolse gli occhi. "Suvvia, addio anche a te, Aleksej Ivanovitch!
    Manca solo piu un'ora alla partenza. Anche tu ti sarai stancato di
    stare con me penso. Tieni, prendi questi cinquanta federici."
    "Vi ringrazio umilmente, nonna, ma mi vergogno..."
    "Su,  su!" grido la nonna in  tono  cosi  energico  che  non  osai
    protestare e accettai.
    "A Mosca, quando correrai di qua e di la senza posto, vieni da me;
    ti raccomandero a qualcuno. Su, vattene!"
    Mi  ritirai  in  camera mia e mi stesi sul letto.  Credo di essere
    rimasto per una mezz'ora supino, con le mani intrecciate dietro la
    testa.   La  catastrofe  ormai  era  scoppiata,   c'era   di   che
    preoccuparsi.  Decisi  che  l'indomani  avrei parlato seriamente a
    Polina. Ah! Il francesuccio? Dunque, era vero!  Ma che cosa poteva
    esserci, pero? Polina e De-Grieux! Mio Dio, che confronto!
    Tutto questo era semplicemente incredibile. Balzai d'un tratto dal
    letto,  fuori  di me,  per andare subito a cercare mister Astley e
    costringerlo, a qualsiasi costo, a parlare. Egli,  senza dubbio ne
    sapeva piu di me. Mister Astley? Ecco un altro mistero per me!
    Ma,  improvvisamente,  sentii  bussare  alla mia porta.  Guardo: e
    Potapytch.
    "Batjushka, Aleksej Ivanovitch, la signora vi vuole!"
    "Che c'e? Parte, no? Al treno mancano ancora venti minuti."
    "E' inquieta,  batjushka,  non puo star ferma.  'Presto,  presto!'
    ripete,  cioe  vuole  voi,  batjushka:  per  amore di Cristo,  non
    indugiate."
    Mi precipitai giu.  La nonna l'avevano gia portata nel  corridoio.
    Nelle mani teneva il portafogli.
    "Aleksej Ivanovitch, cammina avanti, andiamo!"
    "Dove, nonna?"
    "Voglio  morire,  se  non mi rifaro!  Avanti,  march,  senza tante
    domande! La si giuoca sino a mezzanotte, eh?"
    Ero rimasto di stucco, riflettei, ma presi subito una decisione.
    "Come volete, Antonida Vassilevna, ma io non ci andro."
    "E perche? Che significa? Avete tutti le smanie?"
    "Come credete,  ma poi dovrei rimproverare me stesso: non  voglio!
    Non  voglio  essere  ne  spettatore,  ne partecipe.  Dispensatemi,
    Antonida Vassilevna.  Ecco i vostri cinquanta federici: addio!" E,
    deposto il rotolo dei federici su un tavolino,  vicino al quale si
    trovava la poltrona della nonna, mi inchinai e me ne andai.
    "Che assurdita!" mi grido  alle  spalle  la  nonna.  "Non  venire,
    pazienza: trovero la strada da sola;  Potapytch, vieni con me! Su,
    sollevate la poltrona, portatemi!"
    Non trovai mister Astley e tornai a casa.  Sul tardi,  gia dopo la
    mezzanotte,  seppi  da  Potapytch come si era conclusa la giornata
    della nonna. Aveva perduto tutto quanto avevo poco prima cambiato,
    cioe, in moneta nostra, ancora diecimila rubli. Le si era di nuovo
    appiccicato quel piccolo polacchino al quale aveva dato prima  due
    federici,  e  l'aveva guidata durante tutto il gioco.  All'inizio,
    prima del polacchino,  stava gia per far puntare Potapytch ma  ben
    presto l'aveva mandato via; e proprio allora si era precipitato il
    polacchino.  Come a farlo apposta, egli capiva il russo e persino,
    alla bell'e meglio,  lo  parlava,  in  un  misto  di  tre  lingue,
    cosicche riuscivano quasi a capirsi a vicenda.  La nonna per tutto
    il tempo lo insolenti senza pieta e,  sebbene quello  non  facesse
    che  "strisciare  ai  piedini  della pani" tuttavia "non si poteva
    certo  confrontarlo  con  voi,   Aleksej  Ivanovitch"   raccontava
    Potapytch.  "Voi vi trattava proprio come un signore,  e quello...
    quello l'ho visto io,  con i miei occhi,  Dio mi fulmini se mento,
    le rubava il denaro dal tavolo.  Lei stessa lo pesco due volte sul
    fatto e l'ha insolentito, insolentito con ogni sorta di parolacce,
    batjushka, e una volta, davvero, non dico bugie....  una volta gli
    tiro  persino i capelli tanto che tutt'intorno scoppio una risata.
    Tutto, batjushka, ha perduto: tutto cio che voi le avete cambiato.
    Adesso l'abbiamo portata qui,  la matushka;  soltanto un bicchiere
    d'acqua  ha  chiesto,  si  e fatta il segno della croce e subito e
    andata a letto.  Sara  stata  stanca,  perche  si  e  addormentata
    immediatamente.  Che  Iddio  le mandi sogni d'angelo!  Oh,  questo
    estero!" concluse Potapytch. "Lo dicevo io,  che non portava bene!
    Potessimo  tornare  presto  nella nostra Mosca!  Che cosa ci manca
    nella nostra casa a Mosca? Il giardino,  dei fiori come qui non se
    ne vedono,  il profumo, i meli pieni di germogli, lo spazio... no:
    bisognava venire all'estero! Oh-oh-oh!"


    NOTE.
    1) "Berremo del latte sull'erbetta fresca!"









    13.

    E' passato ormai quasi un mese da quando non ho piu toccato queste
    mie note,  iniziate sotto l'influsso di impressioni forti  si,  ma
    disordinate.   La  catastrofe,   la  cui  imminenza  avevo  allora
    previsto,  si abbatte realmente,  ma cento volte  piu  violenta  e
    inaspettata  di quanto io non pensassi.  E' stata una cosa strana,
    scandalosa e addirittura tragica, almeno per me.  Mi sono capitati
    alcuni casi quasi miracolosi;  cosi,  almeno,  mi sembrano tuttora
    anche  se,   a  considerarli  da  un  altro  punto  di  vista   e,
    soprattutto,  giudicando  dal  vortice  in cui allora mi aggiravo,
    essi erano forse soltanto non del tutto comuni.  Ma per me la cosa
    piu  miracolosa  e  il modo con cui io mi sono comportato in tutti
    quegli avvenimenti.  Non riesco ancora oggi a capire me stesso!  E
    tutto e volato via come un sogno; anche la mia passione - e si che
    era  intensa  e sincera - dove mai e andata a finire?  Davvero,  a
    volte mi balena quest'idea: "Ma non sono forse impazzito allora  e
    non  sono stato tutto questo tempo in qualche manicomio dove forse
    mi trovo ancora oggi,  cosi che tutto cio mi e  sembrato  e  anche
    adesso mi sembra soltanto?"
    Ho  raccolto  e  riletto  i  miei  foglietti.  (Chi sa,  forse per
    convincermi di non averli scritti in un manicomio?)
    Ora  sono  solo  soletto.   L'autunno  si  avvicina,   le   foglie
    ingialliscono. Me ne sto in questa triste cittadina (oh, come sono
    tristi  le cittadine tedesche!) e,  invece di riflettere sul passo
    che sto per compiere,  vivo sotto l'influsso di sensazioni  appena
    spente,  di  ricordi freschi,  sotto l'influsso di tutto il fresco
    turbine che allora mi ha trascinato in quel vortice e che di nuovo
    mi ha scagliato fuori,  chi sa dove.  Mi sembra,  ogni  tanto,  di
    aggirarmi  ancora  in  quello  stesso  turbine e che da un momento
    all'altro  si  scatenera  un'altra  volta  la  tempesta   che   mi
    afferrera,  passandomi  accanto,  con  la sua ala,  e io usciro di
    nuovo dall'ordine e dal  senso  della  misura  e  girero,  girero,
    girero...
    Del resto,  forse mi fermero in qualche posto e smettero di girare
    se daro a me stesso,  per quanto possibile,  esatto conto di tutto
    quello che e successo in questo mese.  La penna mi attrae di nuovo
    e spesso, la sera,  non so proprio che cosa fare.  Strano,  pur di
    occuparmi   in   qualche  modo,   prendo  nella  locale,   cattiva
    biblioteca,  i romanzi di Paul de Kock (in traduzione tedesca) che
    quasi non posso soffrire, ma li leggo, e mi stupisco di me stesso:
    e  come  se  avessi  paura  che  un  libro serio o qualsiasi seria
    occupazione  potesse  spezzare  l'incanto  di  cio  che  e  appena
    passato.  Mi  e  proprio  cosi caro quel brutto sogno con tutte le
    impressioni rimastemi,  da temere  persino  che,  sfiorandolo  con
    qualcosa  di  nuovo debba dissolversi come fumo?  Mi e dunque cosi
    caro tutto questo?  Si,  certamente mi e caro,  e forse anche  tra
    quarant'anni lo ricordero...
    E,  cosi mi metto a scrivere.  Del resto,  tutto si puo raccontare
    ora,  in parte,  anche piu brevemente: le impressioni non sono piu
    quelle...

    Per  prima  cosa,  concludiamo il discorso sulla nonna.  Il giorno
    dopo,  ella perse tutto,  definitivamente.  Cosi doveva  accadere:
    chi, tra le persone come lei, capita una volta su quella strada, e
    come  se  scivolasse in slitta da una china nevosa,  sempre piu in
    fretta, sempre piu in fretta...  Gioco tutto il giorno,  fino alle
    otto  di  sera;  io  non  fui  presente al suo gioco e so soltanto
    quello che ho sentito dire.
    Potapytch rimase di guardia vicino a lei al Casino  per  tutta  la
    giornata. I polaccucci che guidavano la nonna si allontanarono piu
    volte  durante il giorno.  Ella inizio con lo scacciare il polacco
    del giorno prima,  quello che aveva tirato per  i  capelli,  e  ne
    prese un altro,  il quale, pero, risulto quasi peggiore del primo.
    Scacciato anche questo e  ripreso  il  primo  -  che  non  si  era
    allontanato  e  durante  tutto  il  tempo  dell'esilio era rimasto
    sempre li dietro la poltrona  sporgendo  continuamente  avanti  la
    testa  -  si  lascio  prendere  da  vera disperazione.  Il secondo
    polacco scacciato non  voleva  andarsene  neppure  lui,  a  nessun
    costo;  uno si sistemo a destra, l'altro a sinistra. Durante tutto
    il tempo non fecero che litigare  e  scambiarsi  ingiurie  per  le
    puntate  e  le  mosse;  si  dicevano a vicenda lajdaki (1) e altri
    complimenti polacchi,  poi si riappacificavano,  gettavano via  il
    denaro  senza  alcun  ordine,  prendevano  decisioni  a  casaccio.
    Attaccata di nuovo  lite,  essi  puntavano  ognuno  dalla  propria
    parte,  uno,  per esempio,  sul rosso e l'altro sul nero. Fini che
    stordirono e confusero tanto  la  nonna  che  lei,  quasi  con  le
    lacrime  agli  occhi,  si  rivolse  al "croupier",  un vecchietto,
    pregandolo di difenderla e di scacciarli.  Infatti  furono  subito
    mandati  via,  nonostante  le  loro  grida  e  le  loro  proteste;
    strillavano tutti e due insieme,  e cercavano di dimostrare che la
    nonna era in debito verso di loro,  che li aveva imbrogliati,  che
    aveva  agito  nei  loro  riguardi  in  modo  disonesto  e   basso.
    L'infelice  Potapytch mi racconto tutto questo con le lacrime agli
    occhi la sera stessa della perdita,  e lamentandosi  che  essi  si
    fossero riempite le tasche di denaro, assicurava di aver visto con
    i  suoi  occhi  come rubavano senza scrupolo e come ogni minuto si
    mettevano quattrini in tasca. Se uno, per esempio,  otteneva dalla
    nonna  cinque federici per le sue fatiche,  subito li puntava alla
    roulette, vicino alla puntata della nonna.  La nonna vinceva e lui
    gridava  che a vincere era stata la sua puntata e che quella della
    nonna aveva perso. Quando li stavano scacciando, Potapytch si fece
    avanti e riferi che essi avevano le tasche piene d'oro.  La  nonna
    prego  subito  il  croupier  di  intervenire  e,  per quanto i due
    polaccucci gridassero  (come  due  galli  afferrati  di  sorpresa)
    arrivo  la  polizia  e  subito  le  loro  tasche  furono vuotate a
    vantaggio della nonna.  La nonna,  fino a che non ebbe perso tutto
    godette  per  l'intera  giornata,  presso i "croupiers" e presso i
    dirigenti del Casino, di una palese autorita. A poco a poco la sua
    fama si era diffusa per la  citta.  Tutti  i  frequentatori  delle
    terme di tutte le nazioni,  quelli comuni e quelli piu importanti,
    accorrevano  a  vedere  "une  vieille  comtesse  russe  tombee  en
    enfance" (2) che aveva perduto "parecchi milioni".
    Ma  la  nonna  ebbe  ben  poco vantaggio dal fatto di essere stata
    liberata dai due polacchi.  Al posto loro comparve immediatamente,
    a   offrirle  i  suoi  servigi,   un  terzo  polacco  che  parlava
    perfettamente in russo,  vestito  da  gentiluomo  sebbene  un  po'
    somigliante  a  un lacche,  con un enorme paio di baffi e pieno di
    boria.  Anch'egli bacio "i piedini della pani",  ma verso la gente
    che  era  intorno  si  comportava  in  modo insolente,  impartendo
    disposizioni   in   tono   dispotico;   in   una   parola,   prese
    immediatamente un atteggiamento non da servo,  ma da padrone della
    nonna. Continuamente,  a ogni mossa,  si rivolgeva a lei e giurava
    con  i piu terribili giuramenti che era anche lui un 'onorato' pan
    e che non avrebbe preso nemmeno una copeca del denaro della nonna.
    E ripeteva cosi spesso tali giuramenti  che  quella  fini  con  lo
    smarrirsi del tutto.  Ma poiche pare che,  all'inizio,  questo pan
    avesse corretto il suo giuoco e avesse incominciato a vincere,  la
    nonna  stessa  non poteva piu staccarsene.  Un'ora piu tardi i due
    piccoli polacchi di prima che erano stati allontanati  dal  Casino
    riapparvero dietro la sedia della nonna,  rinnovando l'offerta dei
    loro servigi,  se non altro come galoppini.  Potapytch giurava che
    "l'onorato pan" scambiava con i due strizzatine d'occhio e passava
    persino  qualcosa  nelle  loro  mani.  Poiche  la  nonna non aveva
    pranzato e non aveva quasi  mai  lasciato  la  poltrona,  uno  dei
    polacchi  si rese effettivamente utile: corse nella sala da pranzo
    del Casino e le porto prima una tazza di brodo e poi anche del  te
    Del resto, correvano tutti e due. Ma verso la fine della giornata,
    quando a tutti era ormai chiaro che la nonna perdeva il suo ultimo
    biglietto  di  banca,  dietro  la  sua  sedia  stavano  ormai  sei
    polacchini,  mai visti ne conosciuti prima.  Quando poi  la  nonna
    stava  perdendo  le sue ultime monete,  tutti loro non solo non la
    ascoltavano piu, ma neanche le badavano; si spingevano al di sopra
    della sua testa per arrivare al tavolo,  prendevano il denaro,  ne
    disponevano    e    lo   puntavano,    discutevano   e   gridavano
    intrattenendosi amichevolmente con "l'onorato pan" che sembrava si
    fosse addirittura dimenticato dell'esistenza della nonna.  Persino
    quando  la  nonna,  dopo  aver  definitivamente  perso  tutto,  si
    preparava verso le otto di  sera  a  tornare  all'albergo,  tre  o
    quattro  piccoli  polacchi  non si decidevano ancora a lasciarla e
    correvano  intorno  alla  poltrona  gridando  a  tutta   forza   e
    assicuravano,  parlando  velocissimamente,  che  la nonna li aveva
    ingannati e che doveva loro qualche cosa.  E cosi arrivarono  fino
    all'albergo da dove, finalmente, furono cacciati a spintoni.
    Secondo il conto di Potapytch, la nonna aveva perso in quel giorno
    circa  novantamila  rubli,  oltre al denaro perso il giorno prima.
    Tutti i titoli  -  obbligazioni  al  cinque  per  cento,  prestiti
    interni,  azioni - che aveva portato con se, li aveva cambiati uno
    dopo l'altro.  Io mi meravigliavo,  pensando  come  avesse  potuto
    resistere quelle sette o otto ore seduta in poltrona e quasi senza
    spostarsi dal tavolo,  ma Potapytch racconto che per ben tre volte
    aveva effettivamente cominciato  a  vincere  forte  e,  trascinata
    dalla speranza,  non aveva piu potuto allontanarsi.  Del resto,  i
    giocatori  sanno  benissimo  come  si  possa  restare  magari  una
    giornata  intera allo stesso posto giocando a carte,  senza girare
    gli occhi ne a destra, ne a sinistra.
    Intanto anche da noi, all'albergo, erano accadute quel giorno cose
    d'importanza decisiva.  Gia dalla  mattina,  prima  delle  undici,
    quando la nonna era ancora in casa,  i nostri,  cioe il generale e
    De-Grieux,  si erano decisi al passo estremo.  Saputo che la nonna
    non  voleva  piu partire ma che,  anzi,  si preparava ad andare al
    Casino, si presentarono da lei in conclave (a eccezione di Polina)
    per parlarle definitivamente e anche  sinceramente.  Il  generale,
    trepidante   e   sentendosi   quasi  venir  meno  in  vista  delle
    conseguenze per lui terribili,  esagero persino: dopo mezz'ora  di
    preghiere e di suppliche e dopo aver francamente confessato tutto,
    cioe  i  debiti e anche la passione per mademoiselle Blanche (egli
    si era smarrito completamente),  il generale dico,  prese di colpo
    un  tono  minaccioso  e  comincio  a  inveire  contro la nonna e a
    pestare i piedi, gridando che lei disonorava la famiglia,  che era
    diventata  lo  scandalo di tutta la citta e arrivo infine a queste
    parole: "Voi disonorate il nome russo,  signora,  e per questo c'e
    la polizia!"

9

Re: Достоевский Ф. М. - Игрок ( перевод на итальянский язык )

La  nonna  lo  caccio via con il bastone (un autentico bastone) Il
    generale e De-Grieux si consultarono ancora due o tre volte quella
    mattina,  e precisamente su  questo:  non  sarebbe  stato  proprio
    possibile  far  intervenire  la  polizia?   Dire  che,  ecco,  una
    disgraziata,   una  rispettabile  vecchia  era  impazzita,   stava
    perdendo  al gioco gli ultimi soldi eccetera?  In una parola,  non
    era possibile ottenere una tutela o una interdizione? De-Grieux si
    limitava a stringersi nelle spalle e rideva in faccia al  generale
    che  ormai non sapeva piu quello che diceva e correva su e giu per
    lo studio.  Infine De-Grieux fece un gesto di rinuncia e scomparve
    chi  sa  dove.  A  sera  si  seppe  che  aveva  lasciato l'albergo
    definitivamente,   dopo  aver  avuto  un  colloquio  risolutivo  e
    misterioso   con   mademoiselle   Blanche.   Per  quanto  riguarda
    mademoiselle  Blanche  lei,  fin  dal  mattino,  aveva  preso  dei
    provvedimenti decisivi: si era completamente liberata dal generale
    e  non  gli  permetteva  neppure piu di presentarsi davanti a lei.
    Quando il generale  le  corse  dietro  al  Casino  e  la  incontro
    sottobraccio  al principe,  tanto lei quanto madame veuve Cominges
    finsero di non conoscerlo.  E neppure il principe lo  saluto.  Per
    tutto  quel  giorno  mademoiselle  Blanche  sondo  e  si lavoro il
    principe perche finalmente si dichiarasse. Ma ahime!
    Si era crudelmente ingannata nei suoi calcoli sul principe! Questa
    piccola catastrofe accadde alla sera;  di colpo si scopri  che  il
    principe  era  povero in canna e che contava proprio su di lei per
    avere quattrini  in  prestito  contro  cambiali  da  giocare  alla
    roulette.  Blanche, indignata, lo caccio via e si chiuse nella sua
    camera.
    La mattina di quello stesso giorno ero andato da mister Astley  o,
    per meglio dire,  lo avevo cercato,  ma non ero riuscito in nessun
    modo a trovarlo. Non c'era ne in casa, ne al Casino,  ne al parco.
    Quella  volta  non  aveva  pranzato nel suo albergo.  Lo vidi a un
    tratto,  verso le cinque,  che dalla stazione  ferroviaria  andava
    verso  l'albergo d'Angleterre.  Camminava in fretta e vidi che era
    preoccupato sebbene fosse molto difficile scorgere  sul  suo  viso
    segni  di  preoccupazione  o  di  qualsiasi  turbamento.  Mi  tese
    cordialmente la mano con la sua abituale  esclamazione:  "Ah!"  ma
    senza fermarsi e continuando, a passi piuttosto frettolosi, il suo
    cammino.  Mi attaccai a lui,  ma egli seppe rispondermi in un modo
    tale che non riuscii a chiedergli niente. Inoltre,  chi sa perche,
    sentivo  un  tremendo  senso  di  vergogna a parlare di Polina;  e
    neppure lui mi disse, a quel proposito, una parola.  Gli raccontai
    della nonna; mi ascolto attento e serio e si strinse nelle spalle.
    "Perdera tutto!" gli dissi.
    "Oh,  certo!"  mi rispose.  "Anche poco fa,  quando io partivo,  e
    andata a giocare, e percio ero sicuro che sarebbe finita cosi.  Se
    avro tempo,  andro un attimo al Casino a vedere, perche e una cosa
    curiosa..."
    "Dove siete stato?" chiesi,  sorpreso  di  non  averglielo  ancora
    domandato.
    "Sono stato a Francoforte."
    "Per affari?"
    "Si, per affari."
    Che   cosa  potevo  chiedergli  di  piu?   Tuttavia  continuavo  a
    camminargli vicino,  ma egli a un tratto svolto nella strada  dove
    sorgeva  l'albergo Des Quatre Saisons,  mi saluto con un cenno del
    capo e spari. Tornando a casa, mi resi a poco a poco conto che, se
    anche avessi parlato con lui per due ore,  non avrei saputo niente
    perche...  non avevo niente da chiedergli!  Gia,  proprio cosi. In
    nessun modo avrei ora potuto formulare la mia domanda.
    Per tutto quel giorno Polina  o  passeggio  con  i  bambini  e  la
    bambinaia  nel  parco,  o  rimase  in casa.  Da un pezzo ormai lei
    evitava il generale e non parlava quasi mai  con  lui,  almeno  su
    argomenti seri. L'avevo notato gia da un pezzo. Ma, sapendo in che
    situazione  si  trovasse  quel giorno il generale,  pensai che non
    avrebbe potuto evitarla,  cioe  che  tra  di  loro  sarebbe  stata
    necessaria  qualche importante spiegazione di carattere familiare.
    Pero quando io,  rientrando all'albergo dopo il mio colloquio  con
    mister  Astley,  incontrai  Polina  con  i  bambini,  il  suo viso
    rifletteva la piu serena tranquillita,  come se tutte le  tempeste
    familiari  non l'avessero nemmeno sfiorata.  Al mio saluto rispose
    con un cenno del capo. Entrai in camera mia pieno di stizza.
    Naturalmente,  io evitavo di parlarle e non mi ero piu trovato con
    lei  dopo l'incidente con il barore Wurmerhelm.  Per di piu facevo
    il sostenuto e mi davo delle arie ma, quanto piu il tempo passava,
    tanto piu ribolliva in me una vera indignazione.  Anche se lei non
    mi amava affatto, non si poteva, mi sembra, calpestare cosi i miei
    sentimenti   e   accogliere   con   un  simile  disprezzo  le  mie
    confessioni!  Lei sapeva che io l'amavo veramente;  lo ammetteva e
    mi  permetteva di parlarle cosi.  In verita,  tutto era cominciato
    tra di noi in modo alquanto strano. Qualche tempo prima,  circa un
    due mesi,  avevo notato che Polina voleva fare di me il suo amico,
    il suo confidente e che, in parte, ci si provava. Ma la cosa,  chi
    sa perche,  non aveva avuto allora buon esito e,  in cambio, erano
    rimasti tra noi gli strani rapporti odierni;  per  questo  appunto
    avevo  preso  a  parlare  cosi  con  lei.  Ma  se  il mio amore le
    ripugnava, perche non proibirmi senz'altro di parlargliene?
    Non me lo vietava; a volte, anzi, mi induceva lei stessa a toccare
    quell'argomento e...  naturalmente lo faceva per beffa.  Lo so con
    certezza, perche avevo osservato molto bene che le faceva piacere,
    dopo   avermi   ascoltato   e  stuzzicato  fino  alla  sofferenza,
    sconcertarmi improvvisamente con qualche uscita  che  rivelava  il
    massimo  disprezzo  e  la  piu grande indifferenza.  Eppure sapeva
    benissimo che senza di lei io non potevo vivere. Ecco adesso erano
    passati tre giorni dall'incidente con il barone, e io non riuscivo
    piu a sopportare la nostra separazione.  Quando l'avevo incontrata
    poco  fa  vicino  al  Casino,  il cuore aveva preso a battermi con
    tanta violenza che ero impallidito.  Eppure  nemmeno  lei  avrebbe
    potuto cavarsela senza di me!  Io le ero necessario; ma possibile,
    possibile che lo fossi soltanto come il buffone Balakirev (3)?
    Lei aveva un segreto: questo era chiaro!  Il suo colloquio con  la
    nonna  mi aveva ferito dolorosamente il cuore.  Eppure mille volte
    l'avevo invitata a essere sincera con me,  e lei sapeva  benissimo
    che io ero pronto a sacrificarle la mia testa. Ma lei se ne faceva
    gioco sempre,  quasi con disprezzo e,  invece del sacrificio della
    vita che io le offrivo,  pretendeva da me delle gesta sul tipo  di
    quelle con il barone! Non era forse una cosa disgustosa? Possibile
    che  per  lei  tutto il mondo fosse racchiuso in quel francese?  E
    mister Astley?  A questo punto la cosa diventava incomprensibile e
    intanto, mio Dio, come mi tormentavo!
    Arrivato  a  casa,  in  un  impeto di rabbia,  presi la penna e le
    scrissi quanto segue:

    "Polina  Aleksandrovna,   vedo  chiaramente  che  e  arrivato   lo
    scioglimento che,  e naturale,  riguardera anche voi. Per l'ultima
    volta vi ripeto: vi serve,  oppure no,  la mia testa?  Se vi  sara
    utile per qualsiasi cosa,  disponete di me;  intanto io sono nella
    mia camera e, almeno per un bel pezzo,  non me ne allontanero.  Se
    vi servira, scrivetemi o fatemi chiamare."

    Sigillai il biglietto e glielo mandai tramite il cameriere del mio
    piano,  con  l'ordine di consegnarlo personalmente.  Non aspettavo
    risposta ma,  dopo tre minuti,  il cameriere torno con la  notizia
    che la signorina "aveva dato ordine di salutarmi".
    Dopo le sei fui chiamato dal generale.
    Era  nel  suo  studio,  vestito come se si preparasse ad andare da
    qualche parte.  Cappello e bastone erano  posati  sul  divano.  Mi
    sembro,  entrando,  che  egli  stesse  in mezzo alla stanza con le
    gambe larghe,  la testa bassa e che parlasse tra se e se  ad  alta
    voce.  Ma  non appena mi vide si getto verso di me quasi gridando,
    tanto che io, istintivamente, indietreggiai e quasi volli fuggire;
    ma egli mi prese per tutt'e due le mani e  mi  trascino  verso  il
    divano, si mise a sedere, fece sedere me su una poltrona di fronte
    a lui e,  senza lasciare le mie mani,  con le labbra tremanti,  le
    lacrime che gli brillavano tra le ciglia e con voce implorante  mi
    disse:
    "Aleksej Ivanovitch, salvatemi, salvatemi, abbiate pieta!"
    Per un bel po' non riuscii a capire niente: lui parlava,  parlava,
    parlava e continuava a ripetere: "Abbiate pieta!  Abbiate  pieta!"
    Finalmente  indovinai  che egli aspettava da me forse un consiglio
    o, per meglio dire, abbandonato da tutti, angosciato e triste,  si
    era  ricordato  di  me e mi aveva fatto chiamare solo per parlare,
    parlare, parlare...
    Era quasi impazzito o, per lo meno,  al culmine dello smarrimento.
    Giungeva  le mani ed era pronto a gettarsi ai miei piedi (che cosa
    credete?) perche io  andassi  subito  da  mademoiselle  Blanche  a
    pregarla e a consigliarla di tornare a lui e di sposarlo.
    "Ma via, generale" esclamai, "fino a oggi mademoiselle Blanche non
    si e neppure accorta di me. Che posso fare io?"
    Ma  le  obiezioni erano inutili: egli non capiva quello che gli si
    diceva.  Si mise a parlare anche della nonna  in  modo  del  tutto
    sconclusionato: era sempre dell'idea di far chiamare la polizia
    "Da noi,  da noi" comincio a gridare, ribollendo all'improvviso di
    indignazione,  "da noi,  in uno stato bene organizzato dove esiste
    un'autorita, una vecchia cosi la metterebbero subito sotto tutela!
    Si,  egregio  signore,  si..." continuava,  cadendo di colpo in un
    tono di rimprovero,  balzando in piedi e mettendosi a  passeggiare
    per  lo studio,  "voi non sapevate ancora,  egregio signore" fece,
    rivolgendosi a un immaginario egregio signore  in  un  angolo,  "e
    adesso  lo  sapete...  si...  si...  che  da noi simili vecchie le
    mettono al giogo, al giogo, sicuro... che il diavolo le porti!"
    E si abbandonava di nuovo sul divano ma,  dopo  un  attimo,  quasi
    singhiozzando  e  ansimando,   si  affrettava  a  raccontarmi  che
    mademoiselle Blanche non l'aveva sposato  proprio  perche,  invece
    del telegramma, era arrivata la nonna e che ormai era evidente che
    egli non avrebbe avuto l'eredita. Gli sembrava che di tutto questo
    io  non  fossi  affatto  al  corrente.  Cominciai a parlare di De-
    Grieux, ma egli fece un gesto di disperazione:
    "E' partito! Tutto quanto possiedo e ipotecato da lui: sono povero
    in canna!  Di quei denari che portaste...  di quei denari  non  so
    quanto  e  rimasto...  mi  sembra  un  settecento franchi e niente
    altro; e tutto li e poi... non so, non so!"
    "Ma come farete a pagare il conto dell'albergo?"  gli  chiesi  io,
    spaventato. "E poi, che accadra?"
    Egli mi guardo pensieroso, ma ebbi l'impressione che non capisse e
    addirittura  non  mi  sentisse.   Provai  a  parlargli  di  Polina
    Aleksandrovna e dei bambini. Egli rispose alla svelta si...  si...
    ma subito si rimise a parlare del principe,  del fatto che Blanche
    ora sarebbe partita con lui e allora... allora... "Che mi resta da
    fare,  Aleksej Ivanovitch?" si rivolse d'un tratto a  me.  "Ve  lo
    giuro  sul  nome  di  Dio!  Che  cosa  posso  fare?  Dite,  non  e
    ingratitudine, questa? Non e ingratitudine?"
    Infine si mise a piangere a dirotto.
    Con un uomo simile non c'era niente da fare,  era pericoloso anche
    lasciarlo solo, poteva magari accadergli qualcosa. Riuscii in ogni
    modo  a  liberarmene,  ma  avvertii  la bambinaia che andasse ogni
    tanto a dargli un'occhiata e, inoltre, parlai con il cameriere del
    piano,  un ragazzo molto giudizioso,  e mi promise che,  da  parte
    sua, lo avrebbe tenuto d'occhio.
    Avevo  appena  lasciato il generale che comparve da me Potapytch a
    chiamarmi da parte della nonna.  Erano le otto,  e lei era  appena
    tornata  dal  Casino dopo l'ultima,  definitiva perdita.  Andai da
    lei: la vecchia era seduta in poltrona,  evidentemente  sfinita  e
    sofferente.  Marfa le stava porgendo una tazza di te che le faceva
    bere  quasi  a  forza.  La  voce  e  il  tono  della  nonna  erano
    decisamente cambiati.
    "Buongiorno,  batjushka Aleksej Ivanovitch" mi disse,  chinando la
    testa con un'espressione  grave,  "scusate  se  vi  ho  disturbato
    ancora  una  volta,  perdonate  a una vecchia.  Io,  mio caro,  ho
    lasciato tutto la, quasi centomila rubli. Avevi ragione,  ieri,  a
    non venire con me!  Ora sono senza quattrini, non ho piu un soldo.
    Non voglio aspettare oltre: alle nove e mezzo partiro.  Ho mandato
    a chiamare mister Astley o come si chiama,  per chiedergli tremila
    franchi per una settimana.  Ebbene,  convincilo tu a non pensare a
    chi sa che cosa e a non rifiutare.  Io,  ragazzo mio,  sono ancora
    abbastanza ricca.  Possiedo tre campagne e due case.  E ho  ancora
    del  denaro:  non  l'avevo  portato tutto con me.  Questo lo dico,
    affinche egli non abbia dubbi di nessun genere... Ah,  eccolo!  Si
    vede che e una brava persona."
    Mister Astley si era affrettato a venire alla prima chiamata della
    nonna.  Senza  pensarci  su e senza far tante parole,  le consegno
    immediatamente tremila franchi contro una cambiale  che  la  nonna
    firmo. Concluso l'affare, egli saluto e si affretto a uscire.
    "E ora vattene anche tu,  Aleksej Ivanovitch.  E' rimasta poco piu
    di  un'ora:  voglio  coricarmi.   Mi  fanno  male  le  ossa.   Non
    rimproverarmi, sono una vecchia stupida. Adesso non accusero piu i
    giovani  di  sventatezza,  e  anche  quel  disgraziato  del vostro
    generale,  commetterei peccato se lo accusassi...  Ma  denaro  non
    gliene  daro,  come  vorrebbe  lui  perche,  secondo me,  e troppo
    stupido;  pero io,  vecchia stupida,  non sono piu intelligente di
    lui.  E'  proprio  vero  che  Iddio  e severo anche con i vecchi e
    punisce l'arroganza. Be', addio! Alzami, Marfusha!"
    Io, pero, volevo accompagnare la nonna.  Inoltre ero in una specie
    di  attesa:  mi  sembrava  che  da  un  momento  all'altro dovesse
    succedere qualcosa.  Non riuscivo a rimanere fermo in camera  mia.
    Uscivo  ogni tanto nel corridoio e andai persino un minuto fuori a
    passeggiare nel viale. La mia lettera a lei era chiara e decisiva,
    e l'attuale catastrofe senza dubbio definitiva. All'albergo sentii
    parlare della partenza di De-Grieux. Infine, se mi avesse respinto
    come amico,  forse non mi avrebbe  respinto  come  servo.  Le  ero
    necessario, magari anche soltanto per fare il galoppino: come no?
    Verso  l'ora della partenza del treno,  corsi alla stazione e feci
    salire  la  nonna.  Presero  tutti  posto  in  uno  scompartimento
    riservato, per famiglia.
    "Ti ringrazio,  batjushka, per la tua disinteressata simpatia," mi
    disse,  accomiatandosi da me,  "e ripeti a Praskovja quello che le
    ho detto ieri: io l'aspettero."
    Tornai  a  casa.  Passando  davanti all'appartamento del generale,
    incontrai la governante e m'informai di lui. "Eh,  batjushka,  non
    c'e male!" mi rispose quella,  in tono triste. Io, pero, entrai lo
    stesso,   ma  sulla  porta  dello  studio  mi  fermai  stupefatto,
    mademoiselle  Blanche e il generale ridevano allegramente insieme.
    La veuve Cominges stava  anche  lei  li,  seduta  sul  divano.  Il
    generale era evidentemente fuori di se dalla gioia, balbettava una
    serie di stupidaggini,  una dietro l'altra, e prorompeva in lunghe
    risate nervose che gli increspavano il viso in una enorme quantita
    di rughe,  mentre gli occhi quasi scomparivano.  Seppi pero  dalla
    stessa Blanche che lei, cacciato il principe e venuta a conoscenza
    delle  lacrime  del  generale,  aveva pensato di consolarlo ed era
    venuta a trovarlo. Ma non sapeva, il povero generale,  che in quel
    minuto  la  sua sorte era gia stata decisa e che Blanche aveva gia
    cominciato a preparare i bagagli per partire  l'indomani,  con  il
    primo treno del mattino, alla volta di Parigi.
    Dopo essere rimasto un po' sulla soglia dello studio del generale,
    decisi  di  non  entrare  e  mi allontanai non visto.  Risalito in
    camera mia e aperta la porta,  notai a un tratto,  nella penombra,
    una  figura,  seduta  su  una  sedia,  in  un angolo,  vicino alla
    finestra.  Essa  non  si  alzo  al  mio  apparire.   Mi  avvicinai
    rapidamente,  guardai  e...  mi  sentii  mancare  il  respiro: era
    Polina!


    NOTE.
    1) Farabutti.
    2) "Una vecchia contessa russa rimbambita."
    3) Celebre buffone dei tempi di Pietro il Grande.


    14.

    Mandai un grido.
    "Che c'e?  Che c'e?" domando lei in tono strano.  Era  pallida,  e
    aveva un'espressione cupa.
    "Come, che c'e? Voi? Qui, da me?"
    "Se io vengo, vengo tutta. E' la mia abitudine. Lo vedrete subito:
    accendete una candela."
    Accesi  la  candela.  Lei  si  alzo,  si avvicino al tavolo e mise
    davanti a me una lettera dissigillata.
    "Leggete!" mi ordino.
    "Questa...  questa  e  la  calligrafia  di  De-Grieux!"  esclamai,
    afferrando  la  lettera.   Le  mani  mi  tremavano,   e  le  righe
    saltellavano davanti ai miei  occhi.  Ho  dimenticato  le  precise
    espressioni  della lettera,  ma eccola,  se non proprio parola per
    parola, almeno pensiero per pensiero.

    "Mademoiselle," scriveva De-Grieux,  "sfavorevoli  circostanze  mi
    costringono a partire immediatamente.  Voi certo avrete notato che
    a bella  posta  ho  evitato  di  avere  con  voi  una  spiegazione
    definitiva fino a quando non si fossero chiarite tali circostanze.
    L'arrivo della vecchia (de la vieille dame),  vostra parente, e il
    suo assurdo comportamento hanno messo fine alle mie perplessita. I
    miei affari dissestati mi impediscono di continuare a  nutrire  le
    dolci speranze delle quali mi ero permesso di pascermi per qualche
    tempo.  Mi rammarico di quello che e accaduto,  ma spero che nella
    mia condotta non troverete niente d'indegno di un gentiluomo e  di
    un  onest'uomo (gentilhomme et honnete homme).  Avendo perso quasi
    tutto il mio denaro nei crediti concessi al  vostro  patrigno,  mi
    trovo  nell'assoluta  necessita  di  approfittare di quello che mi
    resta: ho  gia  dato  istruzioni  ai  miei  amici  di  Pietroburgo
    affinche  dispongano immediatamente per la vendita della proprieta
    ipotecata a mio favore; sapendo, pero,  che quella testa vuota del
    vostro patrigno ha sperperato anche il denaro di vostra proprieta,
    ho  deciso  di condonargli cinquantamila franchi e gli restituisco
    per questa somma una parte delle  ipoteche  sulla  sua  proprieta,
    affinche voi abbiate la possibilita di riavere tutto cio che avete
    perduto,   esigendo  da  lui,   per  via  legale,  quello  che  vi
    appartiene.  Spero,  mademoiselle,  che allo stato  attuale  delle
    cose,  il  mio  gesto vi sara molto utile.  Spero anche che,  cosi
    agendo,  io assolva pienamente il  dovere  di  un  uomo  onesto  e
    nobile.  Siate  certa  che  il  ricordo  di voi rimarra per sempre
    impresso nel mio cuore."

    "Ebbene,  tutto questo e  molto  chiaro,"  dissi,  rivolgendomi  a
    Polina,  "e  possibile  che  voi  vi aspettaste qualcosa d'altro?"
    aggiunsi con indignazione.
    "Io non mi  aspettavo  niente,"  mi  rispose  lei,  apparentemente
    calma,  mentre qualcosa sembrava tremarle nella voce, "da un pezzo
    ero certa di tutto,  leggevo nel suo pensiero e sapevo quello  che
    pensava.   Egli   credeva   che   io  cercassi...   che  io  avrei
    insistito..." Si fermo e,  senza completare la frase,  si morse un
    labbro  e  tacque.  "A bella posta raddoppiai il mio disprezzo per
    lui," riprese a dire,  "in attesa di quello che avrebbe fatto.  Se
    fosse  giunto  il  telegramma dell'eredita,  gli avrei sbattuto in
    faccia il debito  di  quell'idiota  del  mio  patrigno  e  l'avrei
    cacciato  via!  Da un pezzo,  da un pezzo mi era diventato odioso!
    Oh,  non era  piu  quell'uomo  di  prima,  mille  volte  migliore.
    Adesso...  adesso...  oh, con quale felicita sbatterei su quel suo
    muso da vigliacco questi cinquantamila franchi  e  ci  sputerei...
    si, ci sputerei sopra!"
    "Ma   il   documento,   la   carta   che  riguarda  l'ipoteca  dei
    cinquantamila franchi da lui restituita,  l'avra il generale,  no?
    Prendetela e ridatela a De-Grieux!"
    "Oh, non si tratta di questo! Non si tratta di questo!"
    "Si,  e vero, non si tratta di questo! E poi, di che cosa e capace
    adesso il generale? E la nonna?" gridai all'improvviso.
    Polina mi guardava con un'espressione distratta e impaziente.
    "Che c'entra la nonna?" chiese con stizza. "Io non posso andare da
    lei... E non voglio chiedere perdono a nessuno" aggiunse irritata.
    "Che fare, dunque?" gridai.  "Ma come,  come potevate amare questo
    De-Grieux?  Oh,  il  miserabile,  il  miserabile!  Se  volete,  lo
    uccidero in duello. Dov'e, adesso?"
    "E' a Francoforte, dove si fermera tre giorni."
    "Ditemi una sola parola e io, domani stesso,  partiro con il primo
    treno!" dissi, in preda a uno sciocco entusiasmo.
    Lei si mise a ridere.
    "Sarebbe   magari   capace   di   dire:   "Prima   restituitemi  i
    cinquantamila franchi!"  E  poi,  perche  dovrebbe  battersi?  Che
    assurdita!"
    "E  allora  dove,  dove  trovare  questi  cinquantamila  franchi?"
    ripetevo,  digrignando i denti,  come  se  fosse  stato  possibile
    raccattarli da terra.  "Ascoltate: mister Astley?" chiesi,  mentre
    una strana idea cominciava a prender forma nel mio cervello.
    I suoi occhi lampeggiarono.
    "Ebbene,   proprio  tu,   vuoi  che  ti  lasci   per   andare   da
    quell'inglese?"  disse,  fissandomi  con  uno sguardo penetrante e
    sorridendo amaramente.  Per la prima volta mi aveva dato del "tu".
    Mi sembro che,  per l'agitazione del momento, fosse stata presa da
    una vertigine: ad un tratto si sedette sul divano, spossata.
    Fu come se il fulmine mi avesse colpito: stavo li e non credevo ai
    miei occhi, non credevo alle mie orecchie! Dunque,  mi amava!  Era
    venuta da me e non da mister Astley!  Lei, da sola, una fanciulla,
    era venuta  da  me  in  una  stanza  d'albergo,  senza  timore  di
    compromettersi  agli  occhi  di tutti e io...  io ero li davanti a
    lei... e ancora non avevo capito!
    Uno strano pensiero mi baleno alla mente.
    "Polina,  dammi soltanto un'ora!  Aspettami qui un'ora  sola  e...
    ritornero! E' indispensabile! Vedrai. Resta qui, resta qui!"
    Mi  precipitai  fuori  della  stanza,   senza  rispondere  al  suo
    stupefatto sguardo interrogativo;  mi grido qualcosa,  ma  io  non
    tornai...
    Si, a volte il pensiero piu strano, il pensiero apparentemente piu
    impossibile,  si  conficca  con  tanta  forza  nella  testa che lo
    prendi, alla fine,  per qualcosa di attuabile...  Ma non basta: se
    l'idea e legata a un forte,  appassionato desiderio, allora magari
    la  prendi  per  qualcosa  di  fatale,   di   indispensabile,   di
    predestinato,  qualcosa  che  non  puo  non  essere  e non puo non
    accadere!  Forse qui interviene ancora una qualche combinazione di
    presentimenti,  un  qualche  straordinario  sforzo di volonta,  un
    autoavvelenamento della propria fantasia o qualche altra cosa  che
    non so;  ma a me quella sera (che mai piu dimentichero) accadde un
    fatto  prodigioso.   Sebbene  esso  possa   essere   perfettamente
    giustificato  con  l'aritmetica,  tuttavia  resta  per  me tuttora
    miracoloso.  E perche,  perche quella certezza era penetrata  cosi
    profondamente,  cosi  saldamente  nel  mio  animo e ormai da tanto
    tempo? Certo io ci pensavo,  ripeto,  e non come a un caso che puo
    accadere  tra  molti  altri (e quindi puo anche non accadere),  ma
    come a qualcosa che non possa assolutamente non accadere!
    Erano le dieci e un quarto;  entrai nel Casino con ferma  speranza
    ma,  nello stesso tempo, in uno stato di agitazione come non avevo
    mai provato.  Nelle sale da giuoco c'era ancora abbastanza  gente,
    sebbene molto meno che la mattina.
    Dopo  le  dieci,  ai  tavoli  da giuoco rimangono solo i giocatori
    veri,  disperati,  per i  quali  alle  terme  non  esiste  che  la
    roulette,  che  sono  venuti  solo  per  essa,  che  quasi  non si
    accorgono di quello che accade intorno a loro,  che di  niente  si
    interessano  durante  tutta  la stagione,  che non fanno altro che
    giocare dalla mattina alla sera e che  sarebbero  anche  pronti  a
    giocare tutta la notte fino all'alba,  se fosse possibile...  E si
    allontanano sempre con dispetto quando, a mezzanotte, si chiude la
    roulette.  E  allorche  il  capo  croupier,  poco  prima  dell'ora
    fissata, annunzia: "Les trois derniers coups, messieurs! (1)" sono
    a  volte  capaci  di  perdere  in  queste ultime tre puntate tutto
    quello che hanno in tasca,  ed e proprio allora che  subiscono  le
    perdite  maggiori.  Andai  al  tavolo dove poco prima era stata la
    nonna.  Non c'era molta gente,  quindi potei  subito  occupare  un
    posto in piedi vicino al tavolo. Proprio davanti a me, sul tappeto
    verde, era disegnata la parola: "Passe".
    "Passe"  e  la serie di cifre dal diciannove incluso al trentasei.
    La prima serie, invece, dall'uno al diciotto incluso,  costituisce
    il  "Manque";  ma a me che importava?  Io non feci nessun calcolo,
    non sapevo  neanche  su  quale  numero  fosse  caduta  la  pallina
    all'ultimo colpo e non mi preoccupai di saperlo, prima di puntare,
    come   avrebbe   fatto   ogni   giocatore  appena  appena  un  po'
    calcolatore.  Tirai fuori i miei venti federici e  li  gettai  sul
    Passe che era davanti a me.
    "Vingt deux!" grido il croupier.
    Avevo  vinto,  e  puntai  di  nuovo  tutto:  quello  di prima e la
    vincita.
    "Trente et un!" proclamo il  croupier.  Di  nuovo  vincita!  Avevo
    quindi  ottanta  federici.  Li  spostai  tutti  sulle dodici cifre
    centrali (vincita tripla, ma con due probabilita sfavorevoli);  la
    ruota giro e usci il ventiquattro.  Mi furono pagati tre rotoli da
    cinquanta federici e dieci monete d'oro; in tutto,  con quello che
    avevo prima, mi ritrovai duecento federici.
    Ero  come  in  preda  alla  febbre;  spostai tutto quel mucchio di
    denaro sul rosso,  e di colpo tornai in me!  Solo  una  volta,  in
    tutta  quella sera,  durante tutto il gioco,  la paura mi percorse
    con il suo brivido gelido che mi fece  tremare  le  braccia  e  le
    gambe.  Con  orrore  sentii  e  compresi  immediatamente  che cosa
    avrebbe significato ora per me perdere!  Era in gioco tutta la mia
    vita!
    "Rouge!" grido il croupier.
    Ripresi  fiato;  un  formicolio  infuocato  mi  corse per tutto il
    corpo.  Fui pagato in biglietti di banca;  erano cosi,  in  tutto,
    quattromila  fiorini e ottanta federici (allora potevo ancora fare
    dei conti!).
    Poi, ricordo, puntai altri duemila fiorini sulle cifre di centro e
    perdetti; puntai il mio oro e gli ottanta federici e perdetti.  La
    frenesia  s'impadroni  di  me: afferrai gli ultimi duemila fiorini
    che mi erano  rimasti  e  li  puntai  sui  dodici  primi  cosi,  a
    casaccio,  senza  fare  alcun  calcolo!  Ci fu un attimo di attesa
    molto simile, penso, come impressione,  all'impressione provata da
    madame  Blanchard  (2)  quando,  a  Parigi,  precipito dal pallone
    aerostatico.
    "Quatre!" grido il croupier. In tutto,  con la posta di prima,  mi
    ritrovai  di  nuovo  seimila  fiorini.  Avevo  gia  l'aspetto  del
    vincitore; ormai non temevo piu niente; gettai quattromila fiorini
    sul nero.  Una decina di persone si precipitarono,  dopo di me,  a
    puntare   sul   nero.   I  croupiers  si  scambiavano  occhiate  e
    parlottavano tra loro. Attorno si parlava e si aspettava.
    Usci il nero. Non ricordo piu,  a questo punto,  ne i calcoli,  ne
    l'ordine delle mie puntate.  Ricordo soltanto,  come un sogno, che
    avevo ormai vinto, mi pare,  sedicimila fiorini;  improvvisamente,
    in tre colpi sfavorevoli,  ne persi dodicimila; quindi spostai gli
    ultimi quattromila sul Passe  (ma  ormai  non  provavo  quasi  piu
    niente;  aspettavo soltanto, quasi macchinalmente, senza pensieri)
    e vinsi di nuovo;  poi  vinsi  altre  quattro  volte  di  seguito.
    Ricordo che raccoglievo i quattrini a migliaia,  ricordo anche che
    piu spesso degli altri uscivano i dodici numeri di mezzo, ai quali
    mi ero attaccato.  Essi venivano fuori regolarmente,  senza fallo,
    tre  o  quattro  volte  di  fila,  poi sparivano per due volte per
    riapparire  per  altre   tre   o   quattro   consecutive.   Questa
    meravigliosa  regolarita si verifica a volte a ondate ed e questo,
    precisamente,  che sconcerta i giocatori di professione,  i  quali
    fanno  i  calcoli  matita  alla  mano.  E quali tremende beffe del
    destino si verificano a volte in questi casi!
    Credo che dal mio arrivo non fosse passata piu di mezz'ora.  A  un
    tratto  il  croupier mi informo che avevo vinto trentamila fiorini
    e,  poiche il banco non puo pagare  di  piu  per  un  solo  colpo,
    avrebbero  chiuso la roulette sino al mattino.  Presi tutto l'oro,
    lo ficcai in tasca,  agguantai tutti  i  biglietti  e  mi  spostai
    subito  a  un  altro  tavolo,  in  un'altra sala,  dove funzionava
    un'altra roulette; dietro di me si precipito tutta la folla; li mi
    fecero subito posto,  e io ripresi a puntare,  a casaccio e  senza
    fare calcoli. Non capisco che cosa mi abbia salvato!
    A volte,  pero, cominciava a spuntare nel mio cervello un calcolo.
    Mi sentivo legato a certe cifre e a  certe  combinazioni,  ma  ben
    presto    le    abbandonavo   e   riprendevo   a   puntare   quasi
    inconsapevolmente.  Dovevo essere molto  distratto;  tanto  che  i
    croupiers  parecchie  volte  dovettero  correggere  il  mio gioco.
    Facevo degli sbagli grossolani.  Avevo le tempie fradice di sudore
    e le mani che tremavano.  Si erano precipitati,  a offrirmi i loro
    servigi, piccoli polacchi, ma io non ascoltavo nessuno. La fortuna
    continuava!  All'improvviso si alzarono intorno a me voci sonore e
    risate.  "Bravo,  bravo!" gridavano tutti, mentre alcuni battevano
    addirittura le mani.  Strappai anche li trentamila fiorini,  e  il
    banco fu di nuovo chiuso fino al giorno dopo!
    "Andatevene, andatevene!" sussurrava una voce alla mia destra. Era
    un  ebreo di Francoforte;  era rimasto per tutto il tempo vicino a
    me e qualche volta, sembra, mi aveva aiutato nel giuoco.
    "Per  amor  di  Dio,   andatevene!"  mi  sussurro  un'altra   voce
    all'orecchio sinistro. Gettai una rapida occhiata. Era una signora
    modestamente  ma decorosamente vestita,  sui trent'anni,  dal viso
    stanco,  di un pallore malato,  ma che ricordava una  meravigliosa
    bellezza passata. In quel momento mi stavo riempiendo le tasche di
    banconote  che  addirittura  sgualcivo e raccoglievo l'oro rimasto
    sulla tavola.  Dopo aver afferrato l'ultimo  rotolo  di  cinquanta
    federici  riuscii,  del  tutto inosservato,  a metterlo nella mano
    della pallida signora;  mi era venuto un invincibile desiderio  di
    fare  cosi  e  ricordo  che  le dita sottili e magroline di lei mi
    strinsero con forza la mano in segno di  viva  gratitudine.  Tutto
    questo accadde in un attimo.
    Dopo  aver  raccolto  tutto,  passai  rapidamente  al  "trente  et
    quarante".   Al  "trente  et  quarante"  partecipa   un   pubblico
    aristocratico.  Non si tratta qui di roulette,  ma di un gioco con
    le carte.  Il banco risponde per centomila talleri alla volta.  La
    posta  piu  alta  e  ugualmente  di  quattromila  fiorini.  Io non
    conoscevo affatto il gioco,  e non conoscevo nessuna  combinazione
    tranne  il rosso e nero che c'erano anche li.  A questi appunto mi
    attaccai. Tutto il Casino si affollo li intorno. Non mi ricordo se
    durante quel tempo pensassi  una  sola  volta  a  Polina.  Sentivo
    soltanto un irresistibile godimento nell'arraffare e rastrellare i
    biglietti di banca che si ammucchiavano davanti a me.
    Sembrava  proprio che fosse il destino a spronarmi.  Questa volta,
    come a farlo apposta, accadde un fatto che,  del resto,  si ripete
    abbastanza spesso nel gioco.  Succede, per esempio, che la fortuna
    si attacchi al rosso e non lo lasci piu per dieci o anche quindici
    volte di seguito.  Avevo sentito dire due  giorni  prima,  che  il
    rosso, la settimana scorsa, era uscito ventidue volte consecutive;
    nemmeno  alla  roulette  si ricordava un caso del genere,  e se ne
    parlava con stupore. Tutti, si capisce, in questo caso abbandonano
    il rosso e, dopo la decima volta,  per esempio,  quasi nessuno osa
    piu  puntare  su di esso.  Ma neppure sul nero,  opposto al rosso,
    punta piu un bravo giocatore,  perche il giocatore esperto sa  che
    cosa  significhi  questo  'capriccio del caso'.  Sembrerebbe,  per
    esempio,  che dopo la sedicesima volta  che e uscito il rosso,  il
    diciassettesimo colpo dovrebbe infallibilmente cadere sul nero.  E
    sul  nero  si  gettano,  infatti,   in  folla,   i  novellini  che
    raddoppiano,   triplicano  le  puntate  e...  perdono  in  maniera
    spaventosa!
    Ma io, per non so quale strano capriccio,  avendo osservato che il
    rosso  era uscito sette volte di seguito,  apposta mi ci attaccai.
    Sono convinto che per meta si trattasse di  amor  proprio:  volevo
    stupire  gli  spettatori  con  un  rischio pazzesco e- oh,  strana
    sensazione! - ricordo benissimo che a un tratto, e realmente senza
    nessuna spinta dell'amor proprio,  una tremenda sete di rischio si
    impadroni   di  me.   Probabilmente,   passando  attraverso  tante
    impressioni,  l'anima non  si  sazia,  ma  soltanto  si  eccita  e
    pretende  sensazioni  sempre  piu  forti,  fino  alla  spossatezza
    definitiva.  E,  davvero non mento,  se il regolamento  del  gioco
    avesse  consentito  di  puntare  cinquantamila  fiorini  in un sol
    colpo, li avrei certamente puntati. Intorno si gridava che era una
    pazzia, che il rosso era uscito gia per la quattordicesima volta!
    "Monsieur a gagne deja cent mille florins (3)" risuono vicino a me
    la voce di qualcuno.
    Di colpo mi riscossi.  Come?  Avevo vinto  quella  sera  centomila
    fiorini?  E  a  che  scopo  me ne servivano di piu?  Mi gettai sui
    biglietti di banca,  li spiegazzai  ficcandomeli  in  tasca  senza
    contarli,  raccolsi  tutto  il  mio  oro,  tutti  i  rotoli  e  mi
    precipitai fuori del Casino.  Mentre attraversavo le  sale,  tutti
    ridevano   guardando  le  mie  tasche  rigonfie  e  il  mio  passo
    irregolare per il peso dell'oro.  Credo che  raggiungesse  piu  di
    mezzo  pud  (4).  Alcune  mani  si  allungarono  verso  di me;  io
    distribuivo a manciate quanto riuscivo ad afferrare.  Due ebrei mi
    fermarono vicino all'uscita.
    "Siete audace! Siete molto audace!" mi dissero. "Ma partite domani
    mattina  senza  indugio,  partite  piu  presto  che potete,  se no
    perderete tutto, tutto..."
    Non li ascoltavo nemmeno.  Il viale era buio,  tanto da non  poter
    distinguere  la  propria  mano.  Per arrivare all'albergo c'era da
    percorrere un mezzo miglio.  Non ho mai avuto paura ne dei  ladri,
    ne  dei  briganti,  neppure  quando ero piccolo,  e non ci pensavo
    neppure adesso.  Non ricordo,  del resto,  a che cosa pensassi per
    strada; non avevo pensieri. Sentivo soltanto una terribile sete di
    successo,  di  vittoria,  di  potere...  non  so  come esprimermi.
    Balenava davanti a me l'immagine di Polina; ricordavo e mi rendevo
    conto che andavo da lei,  che tra poco  l'avrei  incontrata  e  le
    avrei  raccontato tutto,  le avrei mostrato...  Ma in quel momento
    quasi quasi non ricordavo quello  che  lei  mi  aveva  detto  poco
    prima,  e perche ero andato la, e tutte quelle recenti sensazioni,
    provate non piu di un'ora e mezzo prima, gia mi sembravano passate
    da chi sa  quanto  tempo,  remote,  invecchiate,  alle  quali  non
    avremmo   piu   fatto   cenno   perche  da  adesso  tutto  sarebbe
    ricominciato da capo.  Quasi all'estremita del viale,  fui preso a
    un   tratto   dalla   paura:   "E  se  ora  mi  uccidessero  e  mi
    depredassero?" A ogni passo il terrore raddoppiava.  Andavo  quasi
    di  corsa.  Improvvisamente,  in fondo al viale,  brillo il nostro
    albergo,  illuminato da innumerevoli luci scintillanti.  Grazie  a
    Dio, ero a casa!
    Salii di corsa al mio piano e aprii in fretta la porta. Polina era
    la,  seduta sul mio divano, davanti alla candela accesa, a braccia
    conserte.  Mi guardo stupefatta:  in  quel  momento  avevo,  senza
    dubbio, un aspetto molto strano. Mi fermai davanti a lei e presi a
    gettare sul tavolo tutto quel mucchio di denaro.


    NOTE.
    1) "Le ultime tre puntate, signori!"
    2) Aeronauta francese precipitata dal pallone nel 1819.
    3) "Il signore ha gia guadagnato centomila franchi!"
    4) Equivalente a chilogrammi 16,38.







    15.

    Ricordo  che  lei  mi guardava con una fissita tremenda,  ma senza
    muoversi dal suo posto, senza cambiare posizione.
    "Ho  vinto  duecentomila  franchi"  gridai,  buttando  sul  tavolo
    l'ultimo rotolo.
    L'enorme  mucchio di biglietti e di rotoli d'oro occupava tutto il
    tavolo e non potevo distoglierne lo sguardo; a tratti, dimenticavo
    perfino Polina.  Ora  mi  mettevo  a  riordinare  quei  mucchi  di
    biglietti di banca,  riunendoli tutti insieme, ora disponevo in un
    solo mucchio l'oro;  ora lasciavo tutto e mi mettevo a camminare a
    passi  rapidi  per la stanza,  soprappensiero;  poi a un tratto mi
    avvicinavo di nuovo al tavolo e riprendevo a contare il denaro. Di
    colpo,  come ritornando in me stesso,  mi lanciai verso la porta e
    la chiusi in fretta con due giri di chiave.  Poi mi fermai davanti
    alla mia piccola valigia.
    "Devo  mettere  tutto  nella  valigia  fino  a  domani?"   chiesi,
    girandomi   a   un   tratto   verso   Polina,   come  ricordandomi
    improvvisamente di lei.  Lei sedeva ancora immobile,  allo  stesso
    posto,  ma  mi  seguiva  attentamente con lo sguardo.  Il suo viso
    aveva una  certa  strana  espressione;  quell'espressione  non  mi
    piacque! Non sbaglio, se dico che in essa c'era dell'odio...
    Mi avvicinai alla fanciulla.
    "Polina, ecco venticinquemila fiorini: sono cinquantamila franchi,
    e anche piu. Prendeteli, e domani sbatteteglieli sul viso."
    Lei non mi rispose.
    "Se volete, glieli portero io stesso domattina presto. Va bene?"
    Si mise improvvisamente a ridere, e rise a lungo.
    Io  la guardavo stupefatto e con un senso di tristezza.  Quel modo
    di ridere era molto simile al suo recente ridere di me,  frequente
    e   ironico,   che   seguiva   sempre   le  mie  piu  appassionate
    dichiarazioni.   Finalmente  smise  e  si  acciglio;   mi   guardo
    severamente, di traverso.
    "Io non prendero il vostro denaro" dichiaro in tono sprezzante.
    "Come? Perche?" chiesi. "Polina, ma perche?"
    "Non prendo il denaro per niente."
    "Ma io ve lo offro come amico. Vi offro la mia vita."
    Lei  mi  rivolse  un  lungo  sguardo  indagatore,  come se volesse
    passarmi da parte a parte.
    "Voi pagate bene," disse sorridendo,  "l'amante di  De-Grieux  non
    vale cinquantamila franchi..."
    "Polina,  ma  come  potete parlare cosi con me?" gridai in tono di
    rimprovero. "Sono forse De-Grieux, io?"
    "Vi odio!  Si...  si...  non vi amo piu di quanto non  amassi  De-
    Grieux" grido con gli occhi lampeggianti.
    A  questo  punto  si  copri  il  viso con le mani e fu presa da un
    attacco isterico. Mi precipitai verso di lei.
    Capii che durante la mia assenza le era accaduto qualche cosa: era
    proprio fuori di se!